«Se vogliamo dire che è merito del Governo, del lockdown o del Comitato tecnico scientifico diciamolo pure, ma io so quello che vedo, ossia che il Covid da un punto di vista clinico non esiste più, perché il virus per sopravvivere si è adattato all’ospite ed ora esprime una carica virale molto, ma molto meno elevata di due mesi fa»: queste parole di ieri del Dottor Alberto Zangrillo, direttore del reparto di terapia intensiva del San Raffaele di Milano, hanno scatenato una reazione durissima di buona parte del Comitato Tecnico Scientifico dividendo i virologici e lo stesso Governo. Qualcuno potrebbe pensare che “il medico di Berlusconi” – per molti ancora è ricordato così, ma è un luminare del suo campo – sia stato da sempre un “diminuzionista” rispetto all’emergenza coronavirus: invece, basta googlare e ripescarsi articoli e video di qualche mese fa, Zangrillo era tra i primi a consigliare alla popolazione di ridurre drasticamente ogni tipo di uscita e contatto visto «l’inferno che stiamo vivendo qui nel reparto di terapia intensiva».
Insomma, nel picco più alto dell’emergenza non diceva certo che il coronavirus era poco più di una banale influenza (come invece fatto da alcuni suoi colleghi, ndr). Eppure oggi qualcosa è cambiato e dopo quelle sue parole di ieri è stato costruito un autentico processo mediatico: ecco però che oggi, grazie al Corriere della Sera, emergono le anticipazioni dello studio del San Raffaele che sta per uscire e che dimostra come il Covid-19 ad oggi sia «meno capace di replicarsi».
LO STUDIO DEL SAN RAFFAELE CITATO DA ZANGRILLO
«Abbiamo analizzato 200 nostri pazienti — spiega al CorSera Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele e professore all’Università Vita-Salute, oltre che curatore del lavoro —, paragonando il carico virale presente nei campioni prelevati con il tampone. Ebbene i risultati sono straordinari»; ebbene, secondo l’esperto, proprio come spiegava ieri Zangrillo, «la capacità replicativa del virus a maggio è enormemente indebolita rispetto a quella che abbiamo avuto a marzo. E questo riguarda pazienti di tutte le età, inclusi gli over 65». Questo non significa certo che il carico virale abbia subito una mutazione, o quanto meno ad oggi non si hanno ancora necessarie prove a riguardo: «Possiamo dire, in base ai risultati dell’indagine e a quello che vediamo in ospedale, che è cambiata la manifestazione clinica — precisa ancora Clementi al Corriere —, forse anche grazie alle condizioni ambientali più favorevoli. Ora assistiamo a una malattia diversa da quella che vedevamo nei pazienti a marzo-aprile. Lo scarto è abissale ed è un dato che riteniamo importantissimo».
Il dato è più che altro visibile nella pratica di tutti i giorni tanto al San Raffaele quanto negli altri ospedali messi a dura prova in Lombardia durante l’emergenza Covid-19: «non solo non abbiamo più nuovi ricoveri per Covid in terapia intensiva, ma nemmeno in semi-intensiva. Nelle ultime settimane sono arrivati pochi pazienti e tutti con sintomi lievi», conferma Clementi e come lui tanti altri ospedali di Milano e della Lombardia (oltre che su scala nazionale dove il coronavirus è sempre stato più diradato).
LE CONCLUSIONI DELLO STUDIO
Secondo lo studio del San Raffaele si può anche stabilire la quantità di Covid-19 rimasta nell’individuo malato il che fa dire agli esperti che hanno redatto la casistica che effettivamente il Sars- CoV 2 è “diminuito” rispetto a settimane fa: «È possibile farlo grazie a diverse tecniche quantitative, che ho sviluppato in passato anche per l’Aids. Si tratta di sistemi messi a punto in virologia che consentono di misurare gli acidi nucleici, in questo caso l’Rna di Sars-CoV-2, ovvero le copie del virus rilevabili nel rino-faringe del paziente. Rispetto alle indagini sull’Aids, il campione biologico ottenuto da tampone può essere meno preciso rispetto al campione di sangue (perché c’è il rischio di errore umano), ma nel nostro studio di tamponi ne abbiamo analizzati 200 e il risultato è stato univoco: uno scarto estremamente rilevante tra il carico virale dei pazienti ricoverati a marzo e quelli di maggio», spiega ancora Clementi.
Interessante è poi capire il perché di questo improvviso indebolimento che, secondo alcuni virologi, dipenderebbe dalle misure di lockdown adottate: «Sars-CoV-2 oggi replica meno, ma non abbiamo certezza sulle origini del fenomeno. Un’ipotesi è che si tratti di un co-adattamento all’ospite, come avviene normalmente quando un virus arriva all’uomo. L’interesse del microrganismo è sopravvivere all’interno del corpo e diffondersi ad altri soggetti: obiettivi irraggiungibili se il malato muore a causa dell’infezione». Ma quindi non bisogna temere una seconda ondata di coronavirus in autunno? Questo ancora non può essere detto né predetto, anche se Zangrillo e Clementi sono certi solo dei seguenti punti: «Per quanto riguarda Sars-CoV-2, ci potranno essere dei focolai locali e sarà determinante il modo in cui sapremo reagire, isolandoli, individuando i contatti e affidando i pazienti alla medicina di territorio per lasciare gli ospedali solo a eventuali casi gravi». E per chi dovesse infine pensare che questi risultati li ha raggiunti solo il San Raffaele e che quindi non vi sia una conferma scientifica adeguata, il miglior assist allo studio citato da Zangrillo arriva da Guido Silvestri, virologo e docente alla Emory University di Atlanta (Usa) che ha parlato di «dati di laboratorio molto solidi».