Il premier italiano ritarda di 24 ore un manovra d’urto da 25 miliardi solo per imporre un suo burocrate di fiducia ai burocrati della Protezione Civile. Il presidente francese chiude in casa gli “over 70” ma conferma le elezioni locali. Il premier della Gran Bretagna – patria d’origine del welfare state – punta sulla selezione naturale verso la popolazione più debole come strategia di emergenza sanitaria (e forse anche economica). Il cancelliere tedesco sospende unilateralmente la Ue per propria opportunità su Schengen, ma continua a imporre la Ue agli altri Paesi membri sul patto di stabilità (sempre nell’evidente interesse della Germania). Il presidente Usa ordina alla Fed mosse di politica monetaria espansiva, ma Wall Street non crede né alla Casa Bianca né alla banca centrale e crolla. La presidente della Bce dichiara la propria indipendenza dai governi e tutte le Borse del mondo le credono e crollano. Può sorprendere che la Cina – untore globale del coronavirus – venga additata ad esempio di gestione brillante di un’enorme crisi-Paese? 



Il Covid 19 sta già chiaramente annoverando fra le sue vittime anche l’Ordine Occidentale dal 1945: democrazie nazionali e le tecnocrazie sovrannazionali. Questa volta il killer non è il Mercato, come a a cavallo del 2008: quando prima piegò il primato della politica e poi resistette a ogni tentativo di restaurazione, peraltro sostenuto dall’affermazione definitiva dei monopoli tecnologici. 



What next, cosa ci sarà ora dietro l’angolo? Certamente qualche soluzione di continuità sembra nell’ordine delle cose (già non mancano i sospetti che la pandemia celi azioni di guerra mondiale batteriologica). Ma è davvero ardo azzardare predizioni. Il timore di molti è che molte democrazie degenerino in “democrature” di diverso grado: un modello apparentemente in ascesa. Ma il caso dell‘Italia – suo malgrado di rilevanza globale – sta accendendo luci crude sulla tenuta stessa degli Stati nazionali: quando i gap socioeconomici si saldano esattamente con le polarizzazioni politiche. E’ un allarme scattato in Spagna già due anni fa (e la crisi catalana e’ tutt’altro che risolta). Ma è un rischio annidato perfino nella locomotiva Germania: dove alle pressioni sovraniste e xenofobe dei Land orientali riunificati 30 anni fa si affiancano le ingombranti autonomie di quelli occidentali, nei quali le normative d’emergenza sull’epidemia procedono su paradossali macchie di leopardo. 



Non è affatto detto, comunque, che gli Stati nazionali riescano a “ripristinare l’ordine” in chiave centralistica. E non è escluso – anche non immediatamente prevedibile – che anche in Europa occidentale possiamo assistere a forme di ridisegno della mappa geografico/politica: com’è avvenuto nella metà orientale del Vecchio Continente dopo la caduta del muro di Berlino.    

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