Il mondo scientifico sta cercando di studiare a fondo il covid-19, per cercarne di scoprire ogni sua caratteristica, e fra i tanti aspetti che restano ancora motivi di incertezza vi è la capacità delle persone di riammalarsi, e dopo quanto tempo. A riguardo è importante sottolineare una notizia proveniente dalla Corea del Sud, nazione che nelle scorse ore aveva fatto allarmare il mondo dopo che era emersa la storia che 263 coreani affetti da coronavirus e guariti, si fossero nuovamente riammalati. A fare chiarezza sulla vicenda sono stati i quotidiani The Korea Herald e Korea JoongAng Daily, secondo cui si sarebbe trattato di falsi positivi. In poche parole, a rendere positivo nuovamente il paziente, sarebbero stato dei frammenti del virus morti. Oh Myoung-don, medico a capo del comitato clinico centrale per il controllo delle malattie emergenti, ha fatto sapere che vi sarebbero «poche ragioni per credere che quei casi possano essere nuove reinfezioni o riattivazioni del Covid-19».
CORONAVIRUS COREA DEL SUD, 263 RECIDIVI: PARLA OH MYOUNG-DON
«I test – ha proseguito il medico dell’Università nazionale di Seoul – hanno rilevato l’acido ribonucleico del virus morto», per poi spiegare che «test PCR, o test di reazione a catena della polimerasi, utilizzati per la diagnosi del Covid-19, i materiali genetici del virus si amplificano, sia che provengano da un virus vivo o solo da frammenti di cellule morte che possono prendere mesi per essere eliminate dai pazienti guariti. I test PCR – precisa Oh Myoung-don – non sono in grado di distinguere se il virus sia vivo o morto, e questo può portare a falsi positivi». Una spiegazione senza dubbio plausibile che ovviamente fa tirare un sospiro di sollievo al mondo intero, anche se, come detto sopra, restano ancora molti gli aspetti oscuri del terribile sars-covd2. Tra l’altro già il Korea Centers for Disease Control and Prevention aveva effettuato dei test su pazienti recidivi, che mostrerebbero pochissima o praticamente zero contagiosità.