Non sappiamo chi davvero sia a capo della cabina di regia tanto sbandierata, ma, chiunque sia, va fermato per il bene del Paese. L’emergenza sanitaria del coronavirus ha condotto il Governo ad adottare una escalation di decisioni forse di dubbia efficacia, ma senz’altro criticabili nel metodo seguito. Sino a giungere al decreto-legge n. 6 del 2020 che, per sovrappasso, sembra stia per essere convertito in legge all’unanimità.
Come si è mai pensato di dare quasi illimitati poteri di limitazione delle libertà civili ed economiche (“ogni misura di contenimento e gestione”) a innominate “autorità competenti”?
Perché si è ritenuto che, per giustificare l’attivazione di tali pieni poteri, basti una funambolica condizione, cioè che sia accertato – senza peraltro prevedere come e da quale autorità – “un” solo caso di incertezza sulla provenienza del virus?
Per quale motivo, in questa singolare evenienza di carattere locale, sarebbe indispensabile attribuire tali poteri al Presidente del Consiglio, così aggirando le già vigenti normative che, in tema di sanità e protezione civile, già consentono alle autorità territoriali di attivare idonei strumenti di emergenza?
E se davvero si intendevano concentrare questi poteri nel premier, perché si è introdotta l’ambigua soluzione secondo cui, “nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio”, sono utilizzabili i poteri di emergenza che, per ragioni sanitarie, sono già previsti da molteplici normative a favore di altre istituzioni nazionali (il ministro competente) e territoriali (le autorità regionali e i sindaci)?
È evidente, infine, che, pur in presenza di competenze regionali assai consistenti, si è deciso di adottare questo decreto-legge prima, e non dopo aver ascoltato il parere delle Regioni, proprio per mettere queste ultime davanti al fatto compiuto.
Dunque, se la vera finalità del decreto-legge non è il semplice coordinamento, ma l’effettiva sostituzione degli enti territoriali nell’adozione degli atti emergenziali, l’effetto di scollamento rispetto ai livelli regionali e locali di governo – già sotto pressione per le dirette responsabilità che si stanno assumendo verso le rispettive collettività – può dirsi praticamente devastante, ancor più dopo il burrascoso vertice telematico del premier con i presidenti delle Regioni.
E la straniante vicenda delle Marche ne è stata ultima, palese e drammatica testimonianza. Il gesto di sostanziale ribellione del presidente di questa Regione nei confronti di Conte (e, indirettamente, verso Zingaretti che ha deciso di non ricandidarlo alle prossime elezioni regionali) si spiega facilmente: dopo aver ritirato, in diretta streaming, l’ordinanza regionale su suggerimento telefonico del presidente del Consiglio che prometteva l’imminente adozione di linee guida nazionali, il presidente marchigiano ha atteso invano per tutta la successiva giornata. Alla fine, ha deciso di non poter perdere del tutto la faccia. Così la sua ordinanza, provvisoriamente sospesa la mattina precedente, ha visto la luce alle 18.30 della sera, per la felicità degli scolari, che stavano perdendo ogni speranza di saltare le lezioni dal giorno dopo, e gettando nella disperazione i genitori.
Se siamo la Repubblica delle autonomie, come si usa ripetere con qualche enfasi, occorre tenerne davvero conto; chi la vuole superare a piè pari, in nome dell’emergenza, rischia di trovare il vuoto davanti a sé. In definitiva, concentrare tutte le decisioni più delicate e controverse sul premier per blindarlo politicamente, è una strategia miope. Significa soltanto appesantire a dismisura la croce che già egli sostiene, e preparare le munizioni per organizzare, tutti assieme, il lancio al bersaglio grosso.
Ci permettiamo un consiglio: tornare alla Costituzione, restituire ai singoli ministri le relative responsabilità nei rispettivi campi di competenza, e ristabilire corrette relazioni interistituzionali con le autonomie territoriali.
Il capo dello Stato, certo, non dispone del potere per rimuovere un premier che sbaglia, ma può intervenire per segnalare, anche riservatamente, errori e sviste di carattere istituzionale, facendo fronte comune verso chi propone soluzioni avventurose per la stabilità del Paese tutto.
L’emergenza sanitaria si è innestata senza soluzione di continuità in una crisi di sistema che sta portando ad un’insopportabile condizione di stallo. Per non precipitare serve restituire vigore a tutti i motori, dai più grandi ai più piccoli. Altrimenti, si resterà con il solo volante in mano.