Coronavirus e condizionatori, continua a far discutere lo studio cinese sui ristoranti e l’aria condizionata. Sarà pubblicato a luglio sulla rivista Emerging Infectious Diseases, pubblicata dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) Usa, ma già sta allarmando, perché si parla di casi di infezioni di alcuni clienti di un ristorante, a partire da un solo caso sintomatico, a causa del flusso d’aria del locale. Secondo il virologo Roberto Burioni «distanza e attenzione ai flussi d’aria saranno i due elementi ai quali ci dovremo affidare per la protezione contro l’infezione quando tenteremo di riprendere la nostra vita normale». Ma l’aria condizionata rappresenta davvero un potenziale pericolo per la diffusione del virus Sars-CoV-2? Abbiamo approfondito la questione con la professoressa Francesca Romana d’Ambrosio, Ordinaria di Fisica Tecnica Ambientale al Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università degli Studi di Salerno, nonché ex presidente AiCARR (Associazione Italiana Condizionamento dell’Aria, Riscaldamento e Refrigerazione), che proprio in risposta alla pandemia di coronavirus ha attivato un gruppo di lavoro di esperti per redigere guide sull’uso degli impianti di climatizzazione.



Gli impianti di climatizzazione invernale ed estiva contribuiscono alla riduzione del rischio di contagio o rappresentano invece un potenziale pericolo?

Senza alcun dubbio la prima. Per ridurre il rischio di contagio è fondamentale diluire la concentrazione del virus nell’aria e questo può essere fatto solo immettendo aria esterna, pulita, quindi aprendo le finestre. Ma così non riusciamo a garantire il risultato, perché non riusciamo a controllare a quantità di aria in ingresso né a controllarne il percorso all’interno dell’ambiente. Per questo motivo è importante ventilare adeguatamente utilizzando un impianto e, se possibile, aumentare le portate di aria esterna, cioè la quantità di aria che l’impianto preleva dall’esterno e poi immette nell’ambiente chiuso. In sintesi, l’impianto di climatizzazione, immettendo aria esterna contribuisce a ridurre il rischio di contagio. L’impianto di climatizzazione di cui sto parlando però è esattamente quello che qualcuno chiama impianto di condizionamento, anche se spesso si pensa che sia quello domestico, per intenderci quello che si può comprare in qualunque negozio di elettrodomestici e che si limita a riscaldare o raffrescare l’aria presente negli ambienti. L’impianto di climatizzazione è quello che si trova in centri commerciali, supermercati, cinema, in molti palazzi per uffici, in alcuni edifici residenziali e in alcuni negozi e luoghi pubblici, come ristoranti, palestre e ospedali. È qualcosa di molto più complesso rispetto al condizionatore domestico, perché è in grado non solo di raffrescare e riscaldare l’aria, ma anche di ricambiarla con aria esterna e di purificarla in modo idoneo.



Qual è allora il ruolo della filtrazione nella riduzione del rischio di contagio? C’è chi teme che Sars-CoV-2 possa attraversare i filtri del climatizzatore e che questi possano quindi contaminarsi.

I filtri presenti negli impianti speciali, ad esempio negli ospedali, sono filtri assoluti e bloccano anche particelle delle dimensioni del Sars-CoV-2. Non sono però quelli utilizzati negli impianti “normali”, nei quali viene immessa aria esterna. Non avrebbe senso utilizzare filtri assoluti al di fuori degli ospedali: consumerebbero troppa energia, occuperebbero troppo spazio e dovrebbero essere cambiati troppo spesso a opera di personale specializzato. L’unico modo per contrastare il virus in un ambiente interno è diluirne la concentrazione con l’immissione di aria esterna, nella quale la concentrazione virale è praticamente nulla. L’utilizzo di climatizzatori moderni ad alta efficienza, provvedendo alla normale manutenzione dei filtri è comunque sufficiente a garantire la salubrità degli ambienti e a ridurre il rischio di propagazione del virus.



Daniele Contini, dirigente di ricerca dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr (ISAC) e presidente della Società Italiana Aerosol, ha dichiarato che i condizionatori d’aria con ricircolo interno potrebbero comportare dei rischi. Cosa ne pensa?

Se negli ambienti si ha la certezza che non ci siano infetti, cosa che succede ad esempio nelle abitazioni, il rischio è assolutamente inesistente. In tutti i casi resta fondamentale la immissione di aria esterna. Se il dottor Contini si riferisce a impianti che servono più ambienti, quindi ci sono ricircoli di aria tra un locale e l’altro, ha ragione. Il ricircolo deve essere chiuso. Se invece si parla di impianti con immissione di aria esterna abbinati a terminali come i fan coil e condizionatori che agiscono su un unico ambiente, la loro presenza non può aumentare la concentrazione del virus. Al limite, solo nelle prossimità del condizionatore ci potrebbe essere un fenomeno di risospensione di eventuali cariche virali ma una recente analisi pubblicata in Italia sulla diffusione del virus dell’influenza dimostra per analogia (visto che a oggi ancora il comportamento aereo del Sars-CoV-2 non è noto) che l’aumento di rischio sarebbe del tutto marginale, anche se vi fosse un risospensione pari al 15%. È evidente che in assenza di immissione di aria esterna il rischio aumenta perché aumenta la concentrazione di particelle immesse dall’infetto a prescindere dalla presenta del condizionatore.

A proposito dello studio cinese di cui si sta parlando in questi giorni, è possibile che un condizionatore veicoli un forte flusso d’aria goccioline cariche di virus?

Lo studio di cui lei parla è al centro dell’attenzione da quando la dottoressa Capua lo ha citato in tv come un interessante articolo che dimostra che gli impianti di condizionamento sono responsabili della diffusione del contagio. Dal mio punto di vista dimostra ancora una volta che la responsabilità del contagio è dovuta alla mancata immissione dell’aria di rinnovo. Gli stessi autori nelle conclusioni consigliano di migliorare la ventilazione, con una chiara indicazione sul fatto che si deve immettere aria esterna, non spegnere gli impianti. È chiaro che dal momento che nel testo non ne avevano parlato prima, un non esperto può arrivare a conclusioni sbagliate. La dottoressa Capua è una virologa e gli autori dell’articolo sono dei medici. L’articolo probabilmente ha una serie di pregi dal punto di vista medico, primo tra tutti segnalare la possibilità di contagio via aerosol. Non sta a me giudicarli. Io sono un’ingegnera e mi occupo di impianti di climatizzazione e di qualità dell’aria.

Da un punto di vista ingegneristico allora come valuta questo studio?

È molto carente, in quanto non riporta alcuna informazione tecnica di rilievo se non alcuni dati sul locale e una pianta con l’indicazione di un presunto andamento del flusso di aria generato dalla presenza dei terminali di solo ricircolo. L’articolo parla anche di assenza di finestre, senza specificare se queste fossero davvero assenti o semplicemente chiuse o bloccate. Gli stessi autori nel testo dichiarano che non hanno fatti studi approfonditi per valutare l’andamento dell’aria in uscita dai terminali. Ciò che emerge con certezza è che il ricambio d’aria in quel ristorante era assolutamente insufficiente a diluire la concentrazione del virus che, data la presenza di un infetto, è continuata ad aumentare durante la durata del pranzo. In sintesi, i risultati dell’articolo sul ristorante cinese non riguardano strettamente gli impianti, ma la mancanza di ventilazione e gli impianti riducono il rischio di contagio.

C’è chi ritiene che i sistemi di ventilazione possano mantenere le particelle aerosol virali sospese più a lungo, quindi la distanza minima non è sufficiente come forma di protezione all’interno di un ambiente?

In gergo tecnico i sistemi di ventilazione sono solo quelli che immettono aria dall’esterno. In questo senso, i ventilatori e le pale a soffitto non sono impianti, perché si limitano a mettere l’aria in movimento. In un qualunque impianto di ventilazione ben progettato la velocità dell’aria nella zona occupata dalle persone è molto bassa, prossima a quella che si avrebbe a impianto spento. Il problema può esserci solo in alcune zone, dove il flusso dell’aria può avere una velocità troppo alta, per esempio in prossimità delle bocchette: basta evitare di far stazionare le persone in quelle zone, cosa che peraltro dovrebbe essere comunque fatta per ragioni di discomfort termico da velocità dell’aria. Un impianto di climatizzazione prevedendo l’immissione di aria esterna opera come se “lavasse” l’ambiente, quindi riduce il rischio di contagio una volta che siano rispettate le regole per il distanziamento sociale. Negli ultimi anni anche nei piccoli impianti si stanno diffondendo, per le abitazioni e per gli uffici, sistemi di ventilazione meccanica controllata o VMC, da abbinare ai classici condizionatori.

Cosa suggerisce per un ricambio d’aria senza rischi? Possono essere utili interventi straordinari di igienizzazione degli impianti prima delle riaperture?

Riguardo la riapertura dei luoghi frequentati dal pubblico in cui gli impianti sono stati fermi per almeno 30 giorni, ritengo che qualunque intervento straordinario sia inutile, nel senso che non capisco perché gli impianti dovrebbero contenere il virus. È certo che il virus muore in poche decine di ore al massimo. Ma questa è una questione di cui si devono occupare gli enti locali, che immagino useranno il criterio di massima precauzione. L’AiCARR, l’associazione culturale della climatizzazione di cui sono stata presidente per tre anni, fino a pochi giorni fa, ha pubblicato ben 5 documenti su come comportarsi. Suggerisco a chiunque di leggerli.

Data l’importanza di manutenzione, controlli e disinfezione, può andare bene il fai da te o è strettamente necessario rivolgersi ad esperti?

Questi interventi devono sempre essere fatti da personale specializzato, qualificato e autorizzato, anche se spesso ci si rivolge a chiunque, sbagliando. In questo momento non si deve sbagliare: il fai da te deve essere assolutamente vietato.

Qualcuno avanza addirittura l’ipotesi di vietare l’uso dell’aria condizionata all’interno degli uffici. Qual è la sua posizione a riguardo?

Gli impianti, in condizioni di normali, servono a far stare bene le persone dal punto di vista termico, alzando o abbassando le temperature a seconda della stagione. E parliamo di comfort. Ma gli impianti, sempre in condizioni normali, servono anche a garantire la salute delle persone, in quanto migliorano la qualità dell’aria. Nei nostri ambienti di vita e di lavoro c’è una elevata quantità di inquinanti, alcuni prodotti da noi e dalle nostre attività, che determinano una cattiva qualità dell’aria e questa può portare a tumori e malattie cardiovascolari e, come evidenziato da studi recenti, può anche contribuire all’insorgere di Parkinson e Alzheimer. L’unico modo per migliorare la qualità dell’aria è ventilare e torniamo al punti di partenza. Gli impianti quindi sono fondamentali per la nostra salute e per il nostro comfort. Vietarne l’uso serve solo a peggiorare le nostre condizioni di vita e di salute. Fare terrorismo in questo senso non serve a nessuno, anzi danneggia tutti. Nella fase 2 dovremo tutti fare ancora attenzione a rispettare le regole del distanziamento e a indossare le mascherine, facendo attenzione che siano quelle giuste. Ma soprattutto, per favore, facciamoci aiutare dagli impianti.

In questo momento, qual è la soluzione tecnica più efficiente e più sicura per il condizionamento?

Direi che non esiste una soluzione più efficiente e sicura di un’altra, sempre che gli impianti siano stati ben progettati e manutenuti. Direi piuttosto che quanto accaduto deve farci riflettere sul futuro, sulla necessità di pretendere impianti a regola d’arte, sull’obbligo di effettuare una corretta manutenzione periodica, sulla necessità di dotare i luoghi pubblici, soprattutto le scuole, di impianti di condizionamento.

(Silvana Palazzo)

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