Il Sars-Cov-2 ha dei punti deboli? Si può sconfiggere? La risposta a queste domande potrebbe forse essere trovata nel sistema immunitario dei bambini. A cercare la chiave giusta è uno studio italiano pubblicato su The Lancet Children & Adolescent Health e condotto dalle università Sapienza di Roma e Federico II di Napoli, con ospedale Bambino Gesù e Istituto Spallanzani. Lo studio conferma che i bambini, per se possono essere infettati dal Covid-19, nella maggior parte dei casi mostrano sintomi lievi. Ecco perché lo studio del loro efficace sistema immunitario, che potrebbe basarsi su diversi fattori – dagli anticorpi naturali al ruolo importante delle cosiddette Memory B Cells, che dopo un’infezione generano una risposta immunitaria accelerata e robusta – potrà fornire risposte utili ad affrontare la malattia. “Questa ricerca è senz’altro un tassello importante di un mosaico – afferma Alberto Villani, direttore di Pediatria generale e Malattie infettive dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e presidente della Società italiana di Pediatria –. Ma come spesso accade non bisogna aspettarsi troppo da un singolo aspetto, di fronte a un fenomeno così complesso. Potrebbero comunque venire informazioni parzialmente utili per la scoperta di un vaccino o di una cura”.



Nel sistema immunitario dei bambini potrebbe celarsi il segreto che spiega perché si ammalano meno gravemente degli adulti, quindi svelando un punto debole del Sars-Cov-2?

Chi scoprirà questo darà un grande aiuto alla scienza.

Perché i bambini si mostrano meno sensibili e vulnerabili al coronavirus?

Sono state avanzate diverse ipotesi. Innanzitutto va fatta la distinzione fra infezione, cioè la capacità del germe di attecchire, e malattia. I bambini non sembrano avere una minore capacità di infettarsi, anche se è ancora presto per dirlo perché non abbiamo numeri sufficientemente grandi e poi per tutta una serie di fattori, tipo la chiusura delle scuole e il fatto di dover restare chiusi in casa, che ne ha limitato la possibilità di contagio.



Accennava a diverse ipotesi. Quali?

Sostanzialmente sono tre. In primo luogo, è una questione recettoriale, cioè la possibilità da parte dell’organismo di essere attrattivo per il virus. I bambini sembrano avere meno recettori in grado di captare il virus. E’ paradossalmente un meccanismo difensivo.

Il secondo fattore in gioco?

I bambini, entrando in contatto più frequentemente con la famiglia dei coronavirus, molto probabilmente hanno una immunità un po’ più “allenata”, anche se in senso aspecifico, di difendersi anche da questo coronavirus.

Terza ipotesi?

Le vaccinazioni. L’organismo dei bambini è più addestrato a proporre delle risposte anticorpali. Non ultimo il fatto, ormai dimostrato, che quando si risponde a qualche malattia infettiva si è un po’ più protetti anche dalle altre. Quindi contano tutte queste cose insieme, nonché il fatto che ogni germe ha una predilezione non solo d’organo, ma anche di età.



La ricerca italiana mette in evidenza un ruolo importante delle Memory B Cells. Che cosa sono e a cosa servono?

Come dice la stessa terminologia, sono le cellule della memoria, in grado, grazie appunto alla memoria che hanno, di rispondere a un germe che ha caratteristiche simili. La proprietà delle MBc’s è quella di elaborare una risposta in senso lato, vale a dire non necessariamente altamente specifica, un po’ più generica, all’aggressione dei microrganismi.

Nei bambini sono più reattive?

Sono più presenti e più reattive. Bisogna poi ricordarsi che negli adulti, colpiti da questo coronavirus, si manifesta una maggiore risposta immunitaria. Parte molto importante della malattia è determinata proprio dal fatto che in alcuni soggetti si scatena la cosiddetta tempesta citochinica, che dovrebbe essere un meccanismo difensivo, ma in questo caso, essendo eccessiva, diventa come un’aggressione al nostro stesso organismo, Probabilmente nei bambini la capacità di liberare questa grande risposta immunitaria è meno forte.

Qualora la ricerca italiana trovasse ulteriori conferme, che sviluppi potremmo attenderci? Potremmo avere informazioni importanti su protezione e suscettibilità al virus?

Questa ricerca è un tassello importante di un mosaico. Ma come spesso accade non bisogna aspettarsi troppo da un singolo aspetto, di fronte a un fenomeno così complesso.

Da questa ricerca potrebbero venire informazioni utili anche per un eventuale vaccino o cura?

Parzialmente sì. Sui vaccini possiamo dire che fino a qualche tempo fa ce n’erano solo 5 che avevano raggiunto la sperimentazione umana. Adesso siamo già a una dozzina. Chiaramente più aumentano gli studi, più cresceranno le chance di avere un vaccino davvero efficace e sicuro. Poi si aprirà la grande sfida di produrne quantità adeguate.

Conferma che in Italia si sono registrati pochi contagi gravi tra i bambini?

Confermo. Il numero complessivo è di poco superiore a 4mila, con 3 morti, ma sempre in soggetti che avevano ben altri motivi per andare incontro purtroppo al decesso e il coronavirus non è stata la causa determinante, ma scatenante. I ricoveri ospedalieri rappresentano sempre circa il 7% del totale e tutte le forme descritte sono decisamente più lievi rispetto a quelle evidenziate negli adulti.

E i neonati? Sono più indifesi davanti al Covid?

No, non direi questo. Dei neonati si è sempre detto che sono indifesi, ma se lo fossero davvero, non riuscirebbero ad affrontare la vita, l’aggressione contemporanea e immediata di tutto l’ambiente esterno. In realtà, i neonati hanno una risposta anticorpale meno evoluta, ma non sono più deboli. Diciamo che hanno una diversa capacità di difendersi.    

Anche in Italia, come in altri paesi, i pediatri hanno registrato, soprattutto nella provincia di Bergamo, un aumento anomalo di bambini con sindrome di Kawasaki. E’ una conseguenza del Covid-19? E’ un segnale preoccupante da tenere molto sotto controllo perché potrebbe espandersi?

La malattia di Kawasaki è molto ben nota dal 1967, ma soprattutto è una malattia molto ben definita.

Ha sintomi ben specifici?

Non è una malattia su cui si possono avere incertezze, la diagnosi si fa solo in presenza di sintomi ben precisi. Da un lato, la febbre alta, anche sopra 38.5, per almeno cinque giorni e, dall’altro, la comparsa di almeno quattro di questi cinque sintomi: una congiuntivite non secretiva, un linfonodo ingrandito angolo mandibolare, macchie sulla pelle, una mucosite che interessa essenzialmente bocca e labbra, la tumefazione e il gonfiore del dorso di mani e piedi. Questa è la sindrome di Kawasaki. Punto. Non se ne conosce la causa, anche se sono stati condotti moltissimi studi in merito, e sono state avanzate ipotesi che a scatenarla possano essere altri coronavirus.

Quindi che cosa può essere successo a Bergamo?

Hanno avuto bambini con sintomi e presto i colleghi di Bergamo pubblicheranno un lavoro, che sarà molto interessante leggere. Vorrei però dire una cosa.

Prego.

Il tutto è scattato in Gran Bretagna e il lavoro dei colleghi inglesi è stato già pubblicato. Si fa riferimento solo – e ci tengo a sottolineare, solo – a otto casi in un ospedale che accoglie un bacino d’utenza dell’età evolutiva di circa 2 milioni di persone. Di questi otto casi, solo uno, un bambino di 8 anni, era compatibile con una forma di Kawasaki incompleta. Stiamo quindi parlando di una probabile malattia di Kawasaki in un bambino che non aveva la possibilità per il Sars-Cov-2. La mia impressione è che forse è stata fatta un po’ di confusione, volendo enfatizzare qualcosa senza alcun fondamento scientifico.

I bambini si ammalano in forma lieve, ma possono contagiare altre persone. E’ giusto che indossino le mascherine? E ci sono precauzioni particolari che i genitori devono adottare in questa fase 2 di uscita dal lockdown?

Devono rispettare le regole che ci siamo dati da tempo, a partire dal distanziamento sociale, soprattutto se non si appartiene allo stesso gruppo familiare, e dall’utilizzo, negli ambienti chiusi, della mascherina per i bambini sopra i 6 anni. Sotto i 6 anni, devono essere protetti dagli altri, restando loro lontani, mentre se ci si avvicina a loro, bisogna indossare la mascherina.

Lei visita molti bambini. Come stanno vivendo questa emergenza coronavirus?

I bambini sono lo specchio fedele dell’ambiente in cui vivono, risentono molto dell’umore dei genitori. E i bambini sono dei perfetti esecutori: quando credono nella persona che parla loro, ne hanno rispetto, sono molto più in gamba degli adulti.

(Marco Biscella)

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