Un piano Marshall? Come no! Il piano si trova. È un nuovo generale Marshall che proprio all’orizzonte non si vede. Uno con la visione delle cose da fare, ma soprattutto la capacità di farle fare. Di più: la possibilità.
Molte cose sono cambiate da quando il generale americano ebbe l’incarico di amministrare gli aiuti economici degli Usa all’Italia. Ha scritto Alfonso Ruffo sul Riformista di ieri: “Quello che non si dice con sufficiente convinzione è che nel frattempo (dal Dopoguerra ad oggi, ndr) è molto cambiato il contesto normativo e burocratico all’interno del quale dovrebbe maturare il nuovo miracolo verso il quale tutti tendono. Al di là della competenza e della qualità delle persone che si troveranno a guidare la riscossa, restano difficoltà insormontabili. Quello che abbiamo completamente perso, e che non si può recuperare come una fabbrica o un palazzo, è la capacità di assumere decisioni e di applicarle in tempi rapidi. Oggi tutti sperimentiamo la difficoltà, l’impossibilità, di far funzionare con efficienza efficacia e tempestività il nostro sistema democratico. L’inghippo, il rinvio, i distinguo, il palleggio delle responsabilità, il disimpegno sono diventati i tratti dominanti di scelte che non diventano mai definitive…”. Eccetera.
Tutto drammaticamente vero. Ieri, in un’ennesima giornata nera per i dati sull’epidemia (qualcuno ci dovrà poi spiegare come sia possibile che in Italia ci siano già stati più morti che in Cina, con la metà dei contagi!) una luce si è accesa. L’inopinata – e speriamo irrevocabile – apertura della Banca centrale europea alla difesa dei titoli di Stato europei ha reso improvvisamente verosimile la prospettiva che i miseri 25 miliardi stanziati dal governo Conte nel decreto “cura Italia” possano quadruplicare (almeno: altrimenti, che risveglio daremo mai all’economia?) e sostenere davvero la nostra Azienda Italia.
Già: ma ammesso e non concesso che questi soldi arrivino, quali tecnostrutture, quali uffici pubblici, quali Tribunali amministrativi regionali e quali Corti dei conti sovrintenderanno a tutto ciò, per non parlare dell’Anac? E quale codice degli appalti applicheranno? Chi mai disboscherà la selva dantesca intricata di inestricabili rovi che bloccano o almeno rallentano oltre ogni ragionevolezza qualsiasi iniziativa d’impresa, in Italia?
È una lunga storia. Una storia di errori impressionanti costruiti sull’odio e la divisione, e tanta arroganza, una storia iniziata trent’anni fa. La svolta per tutti fu la caduta del muro, nel 1989. In Italia, giunse al termine di un decennio di crescita ruggente, dell’economia e dell’intrallazzo. La disinibizione della nostra sinistra, che si ritrovò liberata sia dall’ormai inverosimile accusa di collateralismo al Cremlino, sia da quella dell’ambigua collusione con il terrorismo rosso grazie alla fine del medesimo, inoculò nei progenitori dei piddini di oggi un nuovo spirito revanchista.
Frattanto la forza morale di Craxi a Sigonella e la conseguente fatwa gettatagli contro dai servizi americani, e insieme la bassezza morale dello stesso Craxi e degli altri quattro della banda del pentapartito, dediti alla corruzione, alla spartizione e all’intrallazzo, scatenò il Pool di Mani Pulite e aprì la stagione di Tangentopoli. Totalmente inutile anzi dannosa, sia per la valanga di errori e orrori giudiziari, sia per aver spalancato la porta, con contrappasso dantesco, al ventennio berlusconiano. Durante il quale la corruzione andò avanti indisturbata, anzi si espanse, ma la burocrazia pubblica, e la politica di sottobosco, insidiate comunque da una magistratura strapotente e irresponsabile quanto inefficace, decisero di difendersi sul fronte delle apparenze facendo carne di porco sostanziale delle regole che esse stesse moltiplicavano, moltiplicando con esse i filtri e le pseudo protezioni burocratiche, i danni erariali, le modulistiche, le perizie. Tutto quanto oggi non fa funzionare niente.
Conte, lanciando la palla in tribuna con la promessa del suo piano Marshall, cerca di illuminare il futuro anteriore, visto che per ora quello prossimo non è abbastanza illuminato, né illuminabile, e non è ancora ben difeso dalla cassa che il Governo riesce a mobiliare. Il Premier dunque evoca 100 miliardi di euro di investimenti pubblici. Come no: a patto che siano tutti affidati a commissari con totale facoltà di deroga rispetto alle procedure e totale manleva penale rispetto agli inquinatori dei pozzi. Infattibile? Probabilmente sì, ma speriamo di no. Perché, per il resto, per le misure a pioggia, destinate a milioni di cittadini e imprese, piccole e piccolissime, saremo alle solite; sarà un calvario fruirne, e le procedure saranno la solita corsa a ostacoli, micidiale per le persone perbene e agevolissima per gli imbroglioni che – si sa – non lavorando, hanno più tempo.
Davvero: la strada del riscatto è strettissima. Ci vuole una montagna di soldi ed è possibile – da ieri – ma certo non facile, che ce la facciano spendere. E ci vuole qualcuno che la sappia gestire. E proprio, almeno per ora, questo Demiurgo non si vede.