L’emergenza da coronavirus rischia di avere un impatto elevatissimo e senza precedenti sull’economia. Quanto dureranno gli effetti di questa epidemia? Al momento si possono fare solo delle ipotesi, ma non sarà un tempo breve. Massima attenzione al contenimento del contagio, ma anche urgenza di affrontare le questioni economiche che stanno già duramente provando il Paese, con il rischio che una buona parte dell’economia nazionale si fermi.
Si fanno previsioni e vengono aggiornati di continuo dati che disegnano uno scenario da brividi, una situazione diversa dagli shock economici tradizionali ai quali eravamo in parte abituati. Serviranno quindi misure diverse e non convenzionali per evitare il rischio concreto di una recessione, molto più elevato di quanto governi e banchieri centrali facciano intendere. Con il dubbio che non si sappia agire con efficacia di fronte a questo shock.
In questi giorni, accanto all’emergenza sanitaria, vi è, come per il virus, una proliferazione di dati, statistiche, previsioni, che impazzano e vengono amplificate dai canali di comunicazione, non esenti da colpe nel vagliarne qualità e verità, a cui si fa gran fatica a star dietro, dove ognuno si sente in dovere dare il proprio punto di vista, anche se dimostra scarsa conoscenza e competenza. Una pessima gestione mediatica della comunicazione che si è riversata su una popolazione impaurita e disorientata.
E così, per esempio, già una settimana fa, mentre Bankitalia ipotizzava la stima del calo del Pil da un non meno dello 0,2% su base annua, altre istituzioni ed enti di ricerca hanno quantificato il saldo negativo tra l’1% e il 3% nel primo e secondo trimestre 2020. Tradotto in cifre, tra i 9 e i 27 miliardi di euro che potrebbero andare in fumo.
Il Governo ha ora stanziato misure di sostegno all’economia per 7,5 miliardi di euro per attenuare il drammatico impatto su alcuni settori e aree geografiche.
Il coronavirus è anche uno shock dell’offerta. In un mondo globalizzato e aperto la produzione dei beni è una catena che attraversa i diversi Paesi senza dimenticare che l’epidemia riduce oltre ai consumi anche i servizi che sono la componente principale del valore aggiunto del Pil dei Paesi avanzati. Per arginare i rischi di recessione serve rivitalizzare l’offerta e non la domanda. Si teme la chiusura di molte imprese, la perdita di migliaia di posti di lavoro.
In questo quadro quale ruolo, certamente non di secondo piano, quali impatti avrà il sistema del credito e in quale situazione si verranno a trovare le nostre banche? Un primo segnale è arrivato dal mercato che non ha risparmiato i titoli bancari. Giorni neri per la Borsa con le vendite che hanno colpito tutto il listino, ma tra i cali maggiori oltre ai titoli del lusso, del turismo e del commercio, ci sono anche le banche.
Si calcola un peggioramento del default rate delle imprese del 20% e si quantificano in 18 miliardi di euro i flussi di nuovi Npe che deriverebbero da una flessione del Pil del -0,5% nel 2020. Con il blocco dell’attività economica italiana si rischia il blocco del credito verso le aziende. Secondo gli esperti, i comitati crediti delle banche italiane, sulla scia delle notizie degli ultimi giorni, appaiono più prudenti nel concedere linee di finanziamento alle aziende.
Un report di Equita Sim, diffuso alla clientela, ha incentrato l’attenzione proprio sul settore bancario, effettuando un’analisi sugli impatti che il rallentamento dell’attività economica, dovuto al coronavirus, può avere sull’utile e sulle valutazioni degli istituti di credito di fronte a un peggioramento del quadro macroeconomico. Gli esperti segnalano che “incorporando un peggioramento del default rate del 20% a 1,6% (equivalente ad assumere un Pil di circa un -0,5%) – le stime precedenti, basate su una previsione di crescita del +0,5%, stimavano un default rate dell’1,2% – i flussi annui di nuovi Npe aumenterebbero a 18 miliardi di euro con un impatto negativo sulle stime di utile e valutazioni di circa 8%”.
In uno scenario di questo tipo, se storicamente con un tasso di crescita del Pil di 0,5%-1%, il default rate delle banche è stato di poco superiore all’1%, con una contrazione del Pil superiore al 2% il default rate arriverebbe a superare il 4%, con una reazione non lineare.
Problemi di numeri, come non potrebbe essere altrimenti per le banche, ma i numeri non sono tutto: sarà chiesto al settore bancario un contributo straordinario così come a tutti gli attori privati e pubblici della società. L’Abi ha così annunciato l’intenzione di “chiedere alle autorità italiane ed europee la sospensione fino a un anno dell’applicazione delle definizioni di ‘default’ per l’individuazione dei crediti scaduti e rivedere la tempistica degli accantonamenti automatici a fronte dei crediti deteriorati”, il cosiddetto “calendar provisioning”. Ha poi deciso di estendere “gli interventi di sostegno ai finanziamenti in essere al 31 dicembre 2019, previsti dall’accordo per il credito sottoscritto da Abi e dalle principali Associazioni di rappresentanza delle imprese”, che consentono la sospensione dei pagamenti delle quote capitale dei finanziamenti. In base alle linee guida dell’Eba, la nuova definizione di “default” si applicherà dal primo gennaio 2021, mentre il calendar provisioning per i nuovi presiti (emessi da aprile 2019) è già in vigore.
La Federal Reserve ha preso nel frattempo la leadership della risposta delle banche centrali internazionali tagliando con effetto immediato di mezzo punto percentuale i tassi d’interesse statunitensi.
Fra i tanti numeri di questo periodo di grande emergenza a causa dell’epidemia di coronavirus, c’è un aspetto che troppo spesso viene trascurato: come vivono l’emergenza le realtà economiche e le persone più fragili e deboli della nostra società, si tratta di un problema molto vasto. È necessario avere una coscienza comunitaria e sociale che non tenga conto solo del nostro “io”, ma che pensi al “noi”. Questo vale per ogni settore e campo di intervento, ivi compreso il credito, per fronteggiare una situazione che potrebbe far saltare il quadro sociale. Occorre essere all’altezza della situazione emergenziale che si è venuta a creare con l’epidemia virale. È dannoso un processo comunicativo e decisionale governato con la semplificazione o la paura, quando invece la situazione è complessa, e la competenza è elemento base per governare la complessità.
Come usciremo da tutto questo? Difficile valutarlo e questo non potrà non pesare sugli assetti futuri del governo del Paese. Politica e categorie economiche invocano la ripartenza, siamo per ora fermi sulle gambe, con la mascherina in mano. Poiché la complessità dei tempi è destinata ad aumentare, occorre la responsabilità di tutti. La semplificazione del messaggio e dell’azione politica fa davvero paura, quasi quanto il coronavirus.