Cosa avreste fatto voi se foste stati il consigliere giuridico dell’assessore alla Sanità o del presidente di una delle Regioni che da lunedì hanno chiuso scuole e università, e vi avessero chiesto un parere sul comportamento da tenere di fronte all’arrivo di un virus sconosciuto, che per settimane era stato presentato dalla stampa mondiale come un nuovo Ebola? E cosa avreste fatto se foste stato il consigliere giuridico del ministro della Salute o del presidente del Consiglio?
Io non so cosa abbiano fatto davvero. Ma se fossi stato io al posto di quel consigliere avrei suggerito di valutare con la massima attenzione i rischi connessi al restare fermi. E nel dire questo avrei senz’altro avuto in mente il problema della salute pubblica. Ma ancor di più avrei avuto in mente il caso di Marta Vincenzi, ossia del sindaco di Genova, inquisito e condannato ai tempi dell’alluvione del 2011 per non aver dato l’allarme e chiuso Genova ai tempi dell’alluvione.
Primum vivere, deinde philosophari. E quindi, ricordando Marta Vincenzi, e qualche altro episodio minore, avrei suggerito caldamente di assumere ogni provvedimento possibile ed immaginabile per stornare il caso che, ad epidemia diffusa, le conseguenze politiche e legali dell’esser restato fermo mi potessero essere addossate. Non sto parlando dello strepitare delle opposizioni, che, insomma, vanno messe in conto: se no non si è maggioranza ed è meglio occuparsi d’altro. Sto parlando della miriade di possibili azioni di responsabilità civile e di responsabilità contabile che avrebbero potuto essere indirizzate alla Regione, al Ministero ed a me personalmente, mi fossi trovato al loro posto.
Mi sarei preoccupato di questo. Ma ancor di più mi sarei preoccupato che in una qualche Procura della Repubblica a qualcuno fosse venuta l’idea di aprire, nei confronti di chi avrebbe potuto adottare misure d’emergenza, e non le avesse adottate, un qualche fascicolo per omissione d’atti d’ufficio, omicidio colposo, tentata strage od epidemia o qualunque altra cosa paresse alla fantasia e all’inventiva della Procura di turno. Perché il Codice penale è un libro meraviglioso e stupendo, in cui, a cercare, si trova di tutto, e si vede poi chi alla fine ha ragione. Mi sarei preoccupato perché, in quel caso, a maggior ragione il mio parere avrebbe concorso a concretare un illecito penale. E quindi avrebbe potuto costituire elemento per essere indagato a mia volta.
Per quanto paradossale, questo è il contesto in cui si deve collocare ogni decisione pubblica in Italia, e dunque non solo quei provvedimenti che stanno ridefinendo la nozione di emergenza. E badate che questo è un discorso che riguarda tutti: perché nella stessa posizione si trovano oggi tanto il ministro della Salute, che sta al governo a livello nazionale, ma sta all’opposizione in Lombardia e Veneto; quanto i presidenti di Regione, che stanno al governo in Lombardia e Veneto, ma all’opposizione a livello nazionale. Perché la posizione di tutti quelli che occupano cariche di un certo tipo è ormai quella, e non può che essere quella, di cautelarsi prima, e ragionare poi. In fondo, ci insegnava Max Weber, la prima funzione di ogni burocrazia è quella di sopravvivere e perpetuarsi. Perché una burocrazia, pubblica o privata che sia, se non si preserva non può nemmeno assolvere alle funzioni per le quali è stata creata. Molto semplice e molto logico, se ci si pensa. E quindi si può, meglio, si deve, chiudere tutto, trasformare le città in deserti dei tartari sotto le Alpi, dare il via allo svuotamento dei banconi dei supermercati, e tutto quello che ne sta venendo in termini di blocco delle attività economiche. Se no si rischia un bel processo sui giornali prima, e in Tribunale poi.
Ma la verità è che si rischia, e non poco, anche a fare il contrario del nulla, e cioè qualcosa. Siamo proprio sicuri che la limitazione delle libertà dei cittadini confinati in casa di Codogno e degli altri paesi a sud di Milano, non possa concretare, almeno sulla carta, gli estremi di un sequestro di persona? In fondo, il caso di Marta Vincenzi è speculare a quello di quel ministro che adesso viene inquisito per sequestro di persona per aver fatto l’unica cosa che deve fare un ministro guardafrontiere: e cioè bloccare temporaneamente la libertà di circolazione di chi vuole entrare nel paese in nome di un’emergenza sua personale. Che è poi quello che sta succedendo a Codogno e dintorni. Tant’è vero che in Costituzione è scritto chiaramente che la circolazione può essere limitata solo per ragioni di sanità e sicurezza. Ed è questo quello che è successo, tanto a Codogno oggi, quanto nel Canale di Sicilia l’estate scorsa.
Del resto non ci si deve stupire di questo paradosso. Se ormai la Magistratura penale è legittimata ad occuparsi di tutto, salvo poi vedere alla fine chi ha torto e chi ha ragione, questo non è più un paradosso. È la nuova normalità con cui ci siamo abituati a convivere. E cioè il collasso dello Stato di diritto, puntualmente registrato da quegli stessi magistrati penali che non vogliono fare da tampone ai problemi di malfunzionamento delle istituzioni. E, nonostante la scrivania piena, si ricordano ancora cosa sia lo Stato di diritto.
Perché Stato di diritto non significa affatto dire che tutto deve essere rimesso al controllo giurisdizionale delle Procure. Questa, dello Stato di diritto, è la caricatura involuta. Stato di diritto è altro: e cioè limitazione del potere da parte del potere, che genera un effetto di protezione e garanzia delle libertà.
Il punto è che, perché questo effetto possa prodursi, ogni potere deve essere libero di agire senza intromissioni di altri poteri. Il che significa che, per poter stare in equilibrio con gli altri, ogni potere deve avere un suo margine di insindacabilità. Che per la Magistratura è il libero convincimento del giudice; per il Governo l’atto politico (ossia l’atto insindacabile per definizione dalla Magistratura), per il Parlamento la discrezionalità del legislatore.
Se saltano questi nuclei di garanzia e di indipendenza dei singoli poteri – e chi si occupa di queste cose sa che in Italia sono già saltati da un pezzo, e cioè da almeno trent’anni – si finisce con l’assistere alla paradossale situazione per cui decisioni che dovrebbero essere politiche, e soltanto politiche, finiscono con l’essere condizionate dal rischio dell’intervento del Giudice penale.
Il risultato non è che i giudici fanno politica, come dice qualcuno, sbagliando grossolanamente. I giudici non fanno politica perché non ne hanno gli strumenti, e perché fare politica spetta ad altri: e cioè Governo e Parlamento, e magari anche gli enti locali. La verità è un’altra, e cioè che i giudici non fanno politica, ma possono sempre, con la loro azione, produrre un effetto politico attraverso il condizionamento della politica, ne siano consapevoli o meno. E possono, con l’avvio di una vicenda processuale, dettare linee politiche sulla base del “colpirne uno per educarne cento”: si veda il caso di Marta Vincenzi, di Matteo Salvini, o dei vari ministri e assessori coinvolti nella vicenda coronavirus. Tant’è vero che qualche giudice può persino teorizzare questa funzione, sulla stampa e in televisione, rivendicando nei fatti un ruolo politico, che non gli spetta, in nome della libertà di espressione, che però gli spetta.
E questo è un problema per tutti, non solo per i diretti interessati. Perché, se lo Stato di diritto è un insieme di artifici concepito per produrre libertà, questo effetto si produce solo quando la macchina è in equilibrio e i poteri sono relativamente schermati l’uno dall’altro. Quando il meccanismo delle garanzie istituzionali va fuori asse, e i poteri influiscono gli uni sugli altri, il sistema si involve, produce decisioni pubbliche incongruenti, e, come diceva Carl Schmitt, lo Stato di diritto si trasforma in uno Stato a prevalenza di un potere sugli altri, di volta in volta amministrativo, legislativo, di giurisdizione.
Il che sta mostrando tutti i suoi effetti anche nella vicenda del coronavirus, dove il rifiuto di chiudere selettivamente le frontiere, ed applicare la quarantena ai viaggiatori provenienti da zone infette, come si sarebbe dovuto fare, e come stanno giustamente facendo altri paesi, ha generato la situazione attuale. Per forza: si fosse fatto, chi l’avesse fatto sarebbe stato passibile di denuncia per sequestro di persona, e comunque sarebbe stato contro apertura e accoglienza, che sono temi caldi del dibattito politico. Insomma, sarebbe stato razzismo verso il Cinese e si sarebbe data ragione all’Avversario. Si è scelto di ignorare la misura della quarantena, che sarebbe stata una sorta di misura collettiva a sfondo razziale, e che avrebbe ricordato tanto i respingimenti collettivi. Troppa Diciotti e troppa Gregoretti sullo sfondo. Alla fine, per dar mostra di fare qualcosa, si è deciso di chiudere i voli dalla sola Cina, facendo finta di non sapere che gli arrivi sono indiretti, e che i virus vanno in giro fregandosene delle ideologie, nessuna esclusa. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, polemica del Governo contro Regione Lombardia compresa. Il Pil seguirà, come una volta si diceva seguisse l’intendenza.
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