In questi tempi di emergenza coronavirus e soprattutto di paura, è facile lasciarsi andare a teorie complottistiche. Alcuni media lo stanno facendo studiando il comportamento dei cinesi residenti in Italia. Non molti, infatti, si sono resi conto che tutte le attività commerciali, almeno nelle grandi metropoli, hanno chiuso in netto anticipo rispetto alle ordinanze del nostro governo. Si parla di un ordine da parte dell’Ufficio per gli affari dei cinesi d’Oltremare, esistente a Pechino dalla fine degli anni 70 e che in un certo senso “controlla” chi è emigrato all’estero. L’ordine di serrata avrebbe avuto come motivazione la difesa dell’immagine della Cina per non prestare il fianco alla possibilità di creare situazioni conflittuali con gli italiani, visto che il coronavirus è nato proprio in Cina. Secondo Erik Mu, presidente dell’Associazione Culturale AssoCina, che si occupa di integrazione e volontariato per promuovere il multiculturalismo dei cinesi di seconda generazione, cioè nati in Italia, non è così. “Noi siamo una associazione italiana, non cinese, e posso assicurare che i cinesi residenti in Italia non hanno ricevuto alcun messaggio segreto su come muoversi. In modo responsabile, invece, i cinesi, che erano a conoscenza di quanto stava accadendo in patria, si sono auto-imposti la quarantena prima che il governo italiano si muovesse. Questo virus è purtroppo una catena che va spezzata: se io ti contagio, poi tu contagi un altro”. Mu cita, ad esempio, il caso di Prato, dove lavorano 2.500 cinesi e dove non si è verificato neppure un decesso: anziché far nascere il sospetto, è invece l’esempio di come la responsabilità, attivata per tempo, abbia impedito danni peggiori.
La vostra associazione si occupa principalmente di integrazione tra cinesi di seconda generazione e italiani. Siete in qualche modo colpiti anche voi dall’emergenza coronavirus?
Sì, ci occupiamo di attività sociali, soprattutto di integrazione dei giovani. Ad esempio, ogni anno organizziamo una giornata di presentazione e conoscenza di ragazzi bilingue, cioè italiani che hanno studiato cinese e di cinesi che hanno imparato l’italiano, in modo da presentarli ad aziende che abbiano interesse ad assumerli. La organizziamo di solito tra aprile e maggio e purtroppo siamo quasi certi che quest’anno saremo costretti a cancellarla.
Come giudica le mosse del governo italiano per fermare il coronavirus? La Cina ci è riuscita, stiamo seguendo la strada giusta?
La società italiana è organizzata in modo diverso da quella cinese, qui le cose procedono per gradi, vanno legittimate dalla popolazione. In Italia non si possono prendere decisioni senza il consenso popolare, quindi le autorità politiche si sono dovute muovere con una certa cautela. Ritengo che le misure prese sin dall’inizio siano state buone, adesso non siamo però in grado di dire come evolverà. Speriamo che il contagio non si diffonda.
Che cosa sapete di quanto è accaduto in Cina? Come mai le vostre attività commerciali si sono fermate prima di quelle italiane?
I membri della nostra associazione per la maggioranza sono italo-cinesi, le informazioni le abbiamo avute come tutti da fonti pubbliche italiane. Certo, chi conosce il cinese ha potuto documentarsi direttamente da fonti locali, ma non abbiamo ricevuto alcun “messaggio segreto” da Pechino su come muoverci.
Molti di voi, però, avranno ancora amici o parenti in Cina, o no?
Certo, e questo ci ha permesso di avere una percezione diversa di quanto stava succedendo rispetto agli italiani. Qua si assiste a una frenesia sui media da parte di persone che magari non sono mai state in prima linea, là dove la gente si ammala. Noi, grazie a parenti e amici, abbiamo percepito la gravità della situazione prima e meglio del popolo italiano, per questo le nostre comunità hanno preso misure drastiche, anticipando quelle adottate dal governo italiano. Non si tratta solo di proteggere se stessi, ma di proteggere gli altri e le persone che frequentano la tua attività. Se uno si fa contagiare, poi contagia gli altri. E’ una catena che va spezzata.
Inevitabilmente si sono formati dei pregiudizi contro i cinesi in Italia, visto che il virus è arrivato da lì. Questo pensa che renderà più difficile il vostro lavoro di integrazione?
Direi di no. Chi aveva idee cattive non le cambierà, ma si tratta di una minoranza. Si sono verificati episodi di intolleranza e discriminazione, ma niente di particolarmente grave. Quando ci sono problemi, siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo remare nella stessa direzione.
E i cinesi di seconda generazione come vivono questa situazione?
Nelle prime settimane di epidemia in Cina gli italo-cinesi si erano attivati per aiutare la popolazione, adesso la situazione si è capovolta: sono i cinesi a mandare aiuti in Italia.
Si parla molto del caso di Prato, dove c’è una numerosa comunità cinese, eppure non so è registrato alcun decesso. Come se lo spiega?
Personalmente non conosco la situazione di Prato, ma sicuramente è successo quello che dicevo prima. Si sono certamente attivati, molti di loro erano tornati dalla Cina e si sono imposti l’auto-quarantena. Sono stati previdenti perché consapevoli del rischio.