Come ormai tristemente noto, i coronavirus sono una vasta famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie ben più gravi come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la Sindrome respiratoria acuta grave (per tutti la SARS). Un nuovo Coronavirus (nCoV) è un nuovo ceppo di coronavirus che non è stato precedentemente mai identificato nell’uomo. In particolare quello denominato SARS-CoV-2 (precedentemente 2019-nCoV) non è mai stato identificato prima di essere segnalato a Wuhan, in Cina, nel dicembre 2019. Questo, ci dicono le cronache, sta portando, ahimè, morte e malattia nel Paese della grande tigre asiatica.
Sta cambiando, anche a causa della quarantena, profondamente anche il modo di vivere e lavorare. Come gli insegnanti, ad esempio, anche molti medici stanno investendo in attività online in Cina. Decine di ospedali nella provincia dello Shandong hanno inaugurato servizi online di terapia della febbre, insieme a diverse altre strutture sanitarie della provincia dello Zhejiang, in Cina orientale. Il numero, finora piccolo, di persone che lavorano da casa sta crescendo, in questo nuovo contesto, in maniera significativa.
Dopo le vacanze per il capodanno lunare, infatti, le aziende cinesi probabilmente inaugureranno, nel mutato quadro provocato dall’epidemia del nuovo coronavirus, il più grande esperimento di lavoro da casa del mondo. Ciò significherà che molte più persone cercheranno di organizzare riunioni con i clienti e discussioni di gruppo tramite app di videochat o discuteranno piani di lavoro su piattaforme software di produttività come WeChat Work (la versione con gli occhi a mandorla di whatsapp) o Bytedance.
Un fenomeno, quello degli smart workers, lavoratori dipendenti che godono di flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro, disponendo di strumenti digitali per lavorare in mobilità, che, in Italia, interessa ormai circa 570 mila persone, in crescita del 20% rispetto al 2018, che, mediamente, presentano un grado di soddisfazione e coinvolgimento nel proprio lavoro molto più elevato di coloro che lavorano in modalità tradizionale.
Ben il 76% dei lavoratori “smart” si dice, infatti, soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri lavoratori “tradizionali”, uno su tre si sente pienamente coinvolto nella realtà in cui opera e ne condivide valori, obiettivi e priorità, contro solamente il 21% dei colleghi. La paura della diffusione del coronavirus rischia di trasformarsi, alla fine, anche in un grande test per nuove modalità di lavoro che, partendo dalla Cina (comunista?), potrebbero diffondersi nel mondo.
Viene da chiedersi se il nostro Paese, pur partendo da un’interessante base di partenza, sia pronto a questa profonda trasformazione del modo di lavorare e di vivere. Il mito, anche fisico, del posto fisso, infatti, sembra ancora duro a morire.