“Contenere il coronavirus è fattibile, non è ancora una pandemia, e deve rimanere la massima priorità per tutti i paesi. Con misure precoci e aggressive, possono interrompere la trasmissione”. Lo ha detto ieri il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. E in Italia, secondo Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità, “alla fine della settimana capiremo se e quanto le misure di contenimento messe in campo hanno rallentato l’epidemia. Ci attendiamo risultati positivi”. Intanto, mentre la nuova contabilità dell’epidemia parla di 2.036 persone contagiate, di cui 52 decedute e 149 guarite (66 in più rispetto a domenica sera) con oltre 23.300 tamponi effettuati nel nostro paese, in Lombardia – epicentro del focolaio più numeroso e dove la Giunta regionale ha deciso di stanziare 50 milioni per acquistare macchinari che possano migliorare le rianimazioni e per assumere nuovi medici e infermieri – secondo l’infettivologo Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano, “l’evoluzione dei contagi si sta diffondendo in scala maggiore di quello che si poteva prevedere”. Le ultime cifre aggiornate, fornite dall’assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera, contano 1.254 casi positivi, 478 persone ricoverate, a cui ne vanno aggiunte 127 in terapia intensiva, mentre i positivi asintomatici sono 472 e i decessi sono saliti a 38. Sta diventando sempre più “una situazione senza precedenti”? “Effettivamente – risponde Elena Pariani, professore all’Università Statale di Milano nel Dipartimento di Scienze biomediche per la salute e referente di uno dei tre dipartimenti della Regione Lombardia per la sorveglianza del virus – stiamo vedendo moltissimi casi, anche perché teniamo l’evoluzione del contagio sotto strettissimo controllo”.



Che risultati stanno emergendo da questo monitoraggio massiccio?

Se pensiamo ai modelli iniziali, quando si parlava di una malattia con R0, cioè il numero di nuovi casi che si possono generare, da due a quattro, oggi le nuove stime forse non sono più esattamente queste. La diffusione sembra davvero molto più capillare.



È una situazione che vi ha sorpreso e che vi preoccupa?

Osservando la Cina, gli studi ci dicevano che l’R0 poteva essere fino a quattro, ma mettendo in atto tutta una serie di misure di controllo il parametro si poteva anche ridurre. In realtà, la situazione che stiamo osservando ci dice che il Covid-19 è un’infezione già molto presente sul territorio, per cui queste stime iniziali probabilmente dovranno essere riviste alla luce dei nuovi dati e delle nuove informazioni che diventeranno via via disponibili.

A essere decisivi saranno i prossimi 7 giorni. Fino a domenica o lunedì prossimo la situazione sarà attentamente monitorata prima di decidere nuove strategie di contenimento dell’infezione?



Di fatto l’evoluzione dell’infezione è già oggi strettamente monitorata con un dispiegamento di forze molto consistente, si sta facendo anche l’impossibile per mitigarne la diffusione. Ma questa settimana sarà senz’altro decisiva per capire quale potrà essere l’evoluzione.

Prevedete che in questo lasso di tempo possa essere raggiunto il picco dell’infezione?

A mio avviso, il problema in questo momento è che ci troviamo alle prese con tanti agenti respiratori in circolazione. Questo sarebbe il periodo di picco dell’influenza classica. Quindi anche tante forme respiratorie che possono provocare situazioni preoccupanti in realtà potrebbero essere dovute appunto alla compresenza di più agenti virali. Se avessimo dovuto fronteggiare il coronavirus a maggio, sarebbe stato più semplice gestire l’infezione, perché sarebbe stato molto probabilmente l’unico agente virale da controllare.

Le strutture sanitarie lombarde sono sotto stress. A Cremona, per esempio, il direttore sanitario ha dichiarato: “Non possiamo attivare altri posti letto”. L’Oms chiede che per i contagiati da Covid-19 sia creata una struttura ad hoc, mentre il presidente del Consiglio superiore di sanità parla della possibilità di allestire un ospedale speciale e c’è chi ipotizza la creazione di ospedali da campo nella zona rossa. Sono soluzioni a cui si sta pensando?

Queste sono decisioni che attengono più alla Protezione civile.

C’è il rischio che possa insorgere qualche nuovo focolaio, oltre a quello nella Bassa Lodigiana?

Sì, la possibilità esiste: il virus è già molto presente e difficilmente potrà rimanere così strettamente circoscritto.

Ma potrebbero essere focolai meno intensi e meno forti?

Sicuramente oggi siamo più pronti a fronteggiare queste eventualità, assumendo velocemente le misure necessarie per mitigarne l’impatto: l’attenzione è al mille per cento su questo coronavirus e il sistema di allerta è molto più alto.

Ieri ha riaperto, pur con alcune restrizioni, il Duomo di Milano, ma uno degli obiettivi più importanti diventa ora tenere il più possibile al riparo la città, che fortunatamente conta ancora pochi casi positivi. È così?

Milano al momento non sembra così colpita e speriamo che la situazione rimanga tale, perché Milano diventerebbe un epicentro molto consistente.

Avete stimato fino a quando dovremo fare i conti con il Covid-19?

Sono state formulate alcune ipotesi sull’evoluzione dell’epidemia, ma direi che è molto probabile che l’emergenza possa durare almeno un altro paio di mesi.

(Marco Biscella)

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