Da parte di chi governa e di chi cura sono incessanti gli inviti alla responsabilità, a seguire le indicazioni date. Temo che i richiami all’unità di intenti – diminuire i contagi – non siano sufficienti per molte persone. Non perché siano sbagliati, ma perché non trovano terreno sul quale attecchire. Ci sarebbe bisogno di qualcuno che scavasse un po’ sotto le stoppie e trovasse la terra buona che ciascuno nasconde sotto la supponenza e la noia.
Chi oggi ha voce autorevole per far ascoltare le ragioni del cuore, chi è una presenza che si impone non per il ruolo anche importante che riveste, ma soltanto perché c’è? Ci vorrebbe qualcuno nei cui occhi si potesse intravedere lo sguardo di Gesù alla Samaritana, alla Maddalena, a Pietro nella notte del giovedì santo. Allora forse il cuore di ciascuno si piegherebbe a ubbidire, perché sentirebbe come un’eco che il sacrificio richiesto di questi tempi è un bene per sé e per tutti. E starebbe in attesa dello svelarsi di questo bene, facendo umilmente il proprio dovere di uomo e di cittadino.
Non so se è proprio vero che gli italiani siano un popolo difficile da governare. Mi sembra un luogo comune, se penso agli enormi sacrifici compiuti dai soldati, ma anche dalle loro famiglie durante le due guerre mondiali, alla povertà dei contadini e dei migranti. Forse è più vero dire che gli italiani agiscono insieme quando qualcuno muove le corde del loro cuore con le dita leggere di un arpeggio, piuttosto che con le mani più pesanti dell’appello alla responsabilità.