Un primo studio, sebbene “in progress”, comparso pochi giorni fa sul sito della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, paragona gli effetti del coronavirus a quelli di un vero e proprio “terremoto” per il mercato del lavoro europeo. Si segnala, ad esempio, che sebbene siano passate quattro settimane dal primo grande fallimento europeo legato al coronavirus (Flybe, una compagnia aerea regionale britannica, il 5 marzo), è già chiaro che la pandemia sconvolgerà i mercati del lavoro tanto seriamente quanto la crisi finanziaria globale di un decennio fa, se non di più.
Oltre al crollo di Flybe, che comporterà comunque oltre 2.000 perdite dirette di posti di lavoro in tutto il Regno Unito, nelle ultime settimane sono state annunciate riduzioni significative anche da parte delle compagnie aeree Klm e Air Baltic, nonché in molti aeroporti, tra cui quelli di Budapest, Gatwick ed Edimburgo.
Gli operatori del tempo libero e del turismo sono stati, e saranno, allo stesso modo duramente colpiti. Actic, una grande catena di palestre che opera nel nord Europa, ha, in questi giorni, già annunciato la riduzione di 900 posti di lavoro nell’organico nelle sue 131 strutture svedesi a causa della riduzione dei frequentatori dei corsi. I gruppi alberghieri Meliá (Spagna), Nordic Choice Hotels (Svezia) e Scandic (Svezia) hanno annunciato complessivamente oltre 6.000 licenziamenti a causa delle prenotazioni cancellate e il crollo della domanda estiva.
Le prime significative crisi occupazionali che si stanno manifestando poi nella produzione su larga scala sono state nel settore automobilistico. Oltre 400 posti di lavoro saranno persi, in questo quadro, nel grande stabilimento Ford vicino a Valencia.
I 16.000 posti di lavoro persi, già annunciati, a causa del Covid-19 rappresentano, ahimè, solo una piccola parte degli effetti che la crisi causerà inevitabilmente in Europa con un impatto complessivo che è destinato a farsi sentire in tutti (o perlomeno molti) i settori piuttosto e non si concentrerà solo in alcune aree particolarmente vulnerabili.
In questo quadro le misure, e gli interventi, del decreto del Governo basteranno per salvare il lavoro? Per evitare o, perlomeno, limitare i danni al sistema produttiva e ai lavoratori? Sembra mancare, o probabilmente servirà l’ennesimo decreto (?), ogni ragionamento su politiche attive da mettere in campo per aiutare tutte quelle persone che, nonostante gli sforzi messi in campo, usciranno comunque dal mercato del lavoro e dovranno essere inseriti in un serio piano di riqualificazione per essere in grado di ricollocarsi nel nuovo mondo del lavoro che si materializzerà dopo lo shock del coronavirus.
Il rischio, in assenza di un’idea progettuale, è che, per l’ennesima volta nel nostro Paese, molte (troppe) persone, in molti casi magari low skilled, una volta espulsi dal posto di lavoro di una vita siano abbandonati a se stessi e condannati a una vita legata, fondamentalmente, alla capacità di entrare in percorsi assistenziali senza altra prospettiva.