Le conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria del coronavirus saranno pesanti. Ancora difficili da quantificare, anche per le istituzioni economiche e sanitarie internazionali. Tutto dipenderà dalla durata e dal grado di diffusione planetaria del virus. Tuttavia l’emergenza sanitaria sta diventando, al pari di quella finanziaria e della variabile ambientale, uno dei fattori potenzialmente destabilizzanti delle economie globalizzate. E tale da suggerire l’esigenza di rafforzare il ruolo e la credibilità delle istituzioni internazionali, a partire dall’Organizzazione mondiale della sanità.



Nel breve periodo l’effetto panico è destinato ad ampliare gli effetti sistemici derivanti dai comportamenti dei consumatori e delle imprese, e che devono essere contrastati con l’ausilio di una corretta comunicazione istituzionale e dei mass media. Su questo versante buona parte delle nostre istituzioni non ha certamente brillato per coesione e coerenza delle scelte adottate sul territorio nazionale. Il sovraccarico di polemiche di stampo populista tra le forze politiche, che non ha risparmiato nemmeno l’emergenza sanitaria, e l’oggettiva proliferazione di provvedimenti nazionali e regionali privi di senso comune hanno oggettivamente contribuito a disorientare i cittadini. Pertanto il recupero dell’unità di intenti nelle istituzioni, e tra le istituzioni, rappresenta la precondizione primaria per rendere efficaci i provvedimenti rivolti a contenere le conseguenze economiche e sociali dell’emergenza sanitaria.



Su questo versante il Governo, sollecitato dalle parti sociali, si appresta ad adottare due tipi di provvedimenti rivolti a contenere gli effetti del sostanziale blocco delle attività produttive nelle aree che registrano un’elevata intensità di contagi, e per i settori economici particolarmente esposti agli effetti del calo della domanda di prodotti e servizi. L’obiettivo di entrambi i provvedimenti in gestazione è quello di salvaguardare la continuità delle strutture produttive e dell’occupazione, a fronte del vertiginoso calo degli ordinativi e della produzione, con misure di sospensione provvisoria degli adempimenti fiscali, delle bollette, dei mutui, e l’erogazione delle casse integrazioni in deroga per i lavoratori. Più complessa, per l’incertezza dei tempi e dell’intensità dello sviluppo dell’emergenza sanitaria, diventa la definizione degli interventi di sostegno alle attività produttive in relazione alle conseguenze sistemiche negative che si stanno generalizzando in ambito internazionale, con forti conseguenze sul complesso delle organizzazioni produttive, e che rendono molto difficile selezionare i potenziali beneficiari dei provvedimenti stessi.



L’approccio in questione merita alcune considerazioni. Sul versante delle conseguenze economiche e sociali il nostro Paese potrebbe essere paragonato alle persone anziane che sono statisticamente più esposte alle conseguenze letali del corona virus. Le stime della crescita economica erano già negative prima della crisi, con una particolare esposizione del settore manifatturiero e delle aziende esportatrici, concentrate nelle aree “focolaio” e ulteriormente colpite dal ridimensionamento degli scambi internazionali. I comparti dei servizi rivolti al mercato, in particolare quello turistico alberghiero e della ristorazione, che unitamente a quello manifatturiero e dell’assistenza sociale hanno sostenuto la crescita dell’occupazione negli ultimi 5 anni, sono quelli che stanno subendo il drastico ridimensionamento degli ordinativi e delle prenotazioni.

La possibilità di contenere gli effetti occupazionali con l’introduzione delle casse integrazioni in deroga, un provvedimento oneroso ma efficace già adottato tra il 2010 e il 2014, può contenere i licenziamenti nelle aziende manifatturiere, dell’artigianato e della grande distribuzione che hanno organizzazioni del lavoro relativamente stabili. Ma non in quelli caratterizzati da un’elevata stagionalità della domanda dove le imprese, molto semplicemente, eviteranno di assumere i lavoratori. Per non parlare degli autonomi che sono completamente sprovvisti di strumenti di sostegno al reddito.

Le fasi traumatiche dei cicli economici sollecitano anche le innovazioni rivolte a migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi, a diversificare i mercati, a trasformare le organizzazioni del lavoro e utilizzare meglio le risorse umane. Un esempio edificante è rappresentato dal tentativo di rafforzare le modalità di lavoro a distanza, il cosiddetto smart working, che possono consentire a milioni di lavoratori di svolgere le attività assegnate operando nella propria abitazione con adeguati mezzi informatici, nell’ambito di organizzazioni virtuali. Una modalità che, secondo le stime effettuate dai consulenti del lavoro e da alcuni centri di ricerca, coinvolge attualmente poco meno di mezzo milione di lavoratori a fronte di un potenziale di 8 milioni di figure professionali che potrebbero essere gestite con questa modalità. Una cifra altamente al di sotto della media dei Paesi Ue, il 2% rispetto all’11%, motivata dalla rilevantissima presenza delle piccolissime imprese nel nostro tessuto produttivo e per i ritardi nella digitalizzazione dei sistemi operativi.

Queste innovazioni produrrebbero effetti rivoluzionari per la qualità del lavoro, la conciliazione con i carichi familiari, la mobilità urbana e il miglioramento dei rapporti tra le organizzazioni del lavoro e i clienti/utenti. Con effetti rilevantissimi, e ampiamente comprovati, sulla produttività. Un cambiamento che potrebbe essere pilotato dall’adeguamento delle infrastrutture digitali, da un programma pilota della Pubblica amministrazione, da opportune politiche di incentivazione e di adeguamento dei contratti di lavoro.

Mai come oggi diventa evidente il colossale spreco di risorse destinate ai sussidi assistenziali e all’anticipazione dell’età dei pensionamenti, per i ritardi nell’adeguare le infrastrutture materiali e digitali, e per l’assurdo spostamento delle risorse destinate alle politiche attive del lavoro verso un’inesistente domanda e offerta di lavoro da destinare ai beneficiari del reddito di cittadinanza.

Ma, forse, tutto il male non viene per nuocere. I costi economici e sociali della crisi, che saranno comunque elevati, possono sollecitare una rilettura dei modi di fare politica, e di utilizzare le risorse disponibili, che hanno caratterizzato l’ultimo decennio della vita nazionale. In buona sostanza, la presa d’atto che è finita una stagione politica e che è necessario mobilitare le energie per aprirne una nuova.

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori