Non si sa ancora se e quando finirà l’emergenza legata alla diffusione del coronavirus e si potrà tornare alla normalità. Si vive quindi una condizione di sospensione, per usare termini spesso usati a sproposito; per quanto riguarda il lavoro, è un periodo di espansione della precarietà. Basterebbe che tutti noi mettessimo da parte i paraocchi ideologici e interrogassimo i nostri vicini: vicini al caffè, vicini di viaggio, cioè i nostri vicini per caso per cogliere come si è tradotta in crisi la normativa di allarme che ha portato a decidere la chiusura di cinema, pub, teatri, musei, ecc. Dall’addetto alla reception lasciato subito a casa per una settimana e poi si vedrà con un semplice whatsapp, dal cameriere che torna a essere pagato a chiamata e non più a tempo determinato, dal rinvio a data da definirsi dell’assunzione che doveva avvenire proprio in questi giorni: i casi che ciascuno di noi può incontrare sono infiniti.



Solo pochi fin dal primo momento hanno colto la gravità di quanto stava per avvenire nel mondo del lavoro. Mettere in ginocchio l’economia comporta un calo della produzione complessiva e quindi fa calare la richiesta di lavoro. A queste situazioni si risponde con le classiche manovre espansive basate sulla ripresa della domanda e così via. Ma adesso siamo di fronte a un’emergenza che nel breve periodo colpisce in modo particolare i settori del commercio, dello spettacolo, della ristorazione e del turismo, che sono quelli dove più sono diffusi contratti di lavoro flessibili già nelle fasi di crescita economica e che oggi pagano un prezzo doppio rispetto agli altri settori produttivi.



Se dobbiamo immaginare che per mesi si debba prevedere un calo drastico del fatturato di questi settori dobbiamo provare a introdurre strumenti nuovi per affrontare la crisi dei lavoratori che rimangono coinvolti. Se il lavoro si presenta come un percorso spezzettato nel corso della vita lavorativa e abbiamo ancora strumenti deboli per assicurare servizi che sostengano i passaggi da lavoro a lavoro, serve un salto di fantasia e di qualità per mettere in campo strumenti in grado di sostenere tutti in una fase di scarsità di lavoro e nell’impossibilità a breve di riportare a una crescita sostenuta tutta l’economia.



Per ora non sono state avanzate proposte organiche in risposta alle prime richieste provenienti dai territori e settori più colpiti. Siamo invece rimasti allibiti di fronte al dibattito surreale sullo smart working. Il lavoro agile è certo cosa seria e ne va ampliato l’uso con nuove ed estese esperienze. Ma da lunedì scorso tutte le grandi aziende e le filiali di multinazionali delle regioni del nord hanno applicato il lavoro da casa perché colpite da messaggi di pericolo di contagio e non certamente per sperimentare forme di conciliazione vita/lavoro. È peraltro apparso ridicolo proporre lo smart working a fronte della chiusura di cinema, alberghi o bar dove la condivisione di spazi e consumi sta alla base del lavoro stesso.

Anche dai corridoi governativi non sono uscite proposte che parlassero alla realtà che si veniva delineando nel Paese. Si continua ad annunciare che in vista della fine dell’emergenza, che riguarda anche l’assenza di idee operative in troppi ministeri, si procederà con un piano straordinario per il rilancio degli investimenti e del lavoro. Utile previsione, ma che non risponde al bisogno di interventi immediati per i lavoratori coinvolti oggi nelle crisi. Anche l’insistenza sulla necessità di legiferare sul salario minimo appare più scelta di bandiera che proposta utile per i problemi più urgenti. Quando poi i proponenti più accalorati si lanciano in proposte numeriche e propongono di mettere l’asticella del salario minimo a oltre il doppio di quanto loro stessi pagano la colf o la babysitter appare chiaro che si tratta di uscite strumentali di persone senza il senso della realtà. Il rischio di tutto ciò è di fare un intervento contrario a quanto proposto dai sindacati e dalle rappresentanze delle imprese e buttare fuori dal mercato del lavoro ufficiale migliaia di lavoratori.

In questo quadro sono apparse invece più attente alla nuova realtà del lavoro le proposte avanzate dai sindacati. In particolare facciamo riferimento a quelle organizzazioni, come ad esempio Vivace della Cisl, che hanno richiamato l’attenzione a tutelare anche quei lavoratori autonomi o somministrati, o con contratti al limite della legittimità che normalmente non godono di nessuna tutela in caso di crisi aziendale. Se abbiamo strumenti tradizionali di intervento per politiche del lavoro passive in caso di crisi, cassa integrazione ordinaria e straordinaria, c’è invece bisogno di immaginare nuovi strumenti di intervento per tutelare settori dove gli strumenti tradizionali non arrivano e perché vi è necessità di contenuti diversi. Occorre pertanto provare a sviluppare nuovi ammortizzatori sociali che rispondano a queste nuove necessità e che permettano di coprire fasce di lavoratori che non rientrano nelle definizioni tradizionali di lavoro dipendente.

È l’occasione per usare al meglio i fondi non utilizzati del reddito di cittadinanza e sperimentare forme migliori sia per l’accesso al diritto al reddito, sia alla condizionalità di un impegno richiesto al beneficiario. Può essere una revisione dell’accesso al diritto a un assegno di cittadinanza perché deve riguardare tutti i lavoratori coinvolti e non solo quelli con certe caratteristiche contrattuali. Dovrà ovviamente essere limitato nel tempo e nei confini territoriali delle zone colpite o per i settori economici coinvolti. Dovrà però prevedere anche di essere una politica attiva del lavoro.

Se l’obiettivo di una ricollocazione lavorativa non può essere certamente la base delle proposte può essere un’occasione per un grande investimento finalizzato a incrementare l’occupabilità e il capitale formativo di quanti saranno coinvolti. Si possono impegnare alcuni in percorsi di aggiornamento professionale per impresa 4.0 dei settori dove sono già impegnati o al recupero di formazione professionale di chi ha magari interrotto il proprio percorso formativo. Può anche essere un programma di lavori utili coinvolgendo il terzo settore per programmi di economia generativa.

Serve una risposta immediata per i lavoratori oggi precarizzati dagli effetti delle misure anti-contagio. Non si può però ridurre la risposta al sostegno al reddito dei tutelati. Offrire a tutti nuove opportunità di sostegno al reddito, ma anche nuove occasioni di crescita formativa e di lavoro in vista di una ripresa che dovrà essere caratterizzata da lavori di qualità.

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