Tra i molti, drammatici effetti della pandemia in corso, c’è quello di rivelarsi un’impietosa cartina di tornasole dello stato dell’arte del nostro Paese nei più diversi ambiti. Vediamo cosa succede nel vasto campo della comunicazione.
Come dato positivo, si rileva la rapida introduzione dello smart working, applicabile già da molti anni, ma di fatto finora abbastanza poco utilizzato. Grazie all’uso delle più diverse piattaforme, si è subito scoperto di poter fare a distanza riunioni anche con molti interlocutori, recuperando il tempo dei viaggi, riducendo di conseguenza, e di parecchio, l’inquinamento.
Tutti gli studenti di ogni ordine – e soprattutto gli insegnanti (i più restii in genere a convertirsi all’impiego dei mezzi informatici) – passano molte ore al giorno a impartire e a seguire lezioni on-line. Fin qui i dati positivi.
Il primo problema che è emerso riguarda il fatto che non in tutte le famiglie ci sono pc, Mac, tablet, e tantomeno collegamenti in banda larga. Così è emerso un digital divide che è anche di carattere economico: le famiglie meno abbienti in questa occasione restano quindi indietro, e tra le tante iniziative di solidarietà sociale, non c’è ancora notizia del diffondersi su scala nazionale di proposte come quella del “Banco Informatico” per dotare queste famiglie magari di un pc non proprio aggiornato che non si usa più.
Altri problemi riguardano la banda, che non è così diffusa e larga come in altri Paesi: per connessioni l’Italia è oltre il cinquantesimo posto nel mondo e ben oltre il ventesimo in Europa. Così avviene che in una famiglia con due o tre figli, in cui i genitori lavorano da remoto, la loro connessione deve supportare (e sopportare) 4-5 bocche informatiche avide di dati per il lavoro a distanza e le lezioni on line.
Il problema si fa ancora più sentito quando viene la sera e tra programmi televisivi, film, cartoni animati, serie tv e social network, in molti casi la rete non ce la fa, e di conseguenza nasce la necessità di organizzare dei turni, quando non si arrivi a sgradevoli discussioni, rese sempre più facili per la prolungata clausura in spazi ristretti.
In grande spolvero la tv tradizionale, che ha visto all’inizio un boom per i telegiornali, i talk show e i programmi di approfondimento. Ma hanno peccato di eccesso e dopo un mese abbondante di drammatizzazione stanno cedendo il passo alle fiction, ai film e ai programmi di intrattenimento. Il coronavirus più che notizia oramai fa paura, e cosa c’è di meglio per evadere dalla forzata clausura che guardare un film o una serie televisiva, di cui c’è grande abbondanza sulle più diverse piattaforme? Si prevede un calo di attenzione per le serie distopiche come Black Mirror, visto che siamo tutti diventati nostro malgrado protagonisti di un racconto di fantascienza, mentre ogni settimana sempre più telespettatori aspettano la nuova puntata di Yellowstone con Kevin Kostner, che rilegge in chiave contemporanea i canoni del classico western: più che ovvio desidero di evasione dei reclusi in casa.
Non a caso l’Amministratore delegato della Rai Salini ha deciso di potenziare l’offerta di fiction e intrattenimento, e di riservare all’argomento coronavirus solo agli spazi tipicamente informativi, individuandone uno nuovo, serale, affidato all’equilibrio, alle conoscenze internazionali, e alla solida professionalità di Lucia Annunziata.
Continua con grade merito l’exploit di Raiplay lanciato giusto in tempo per offrire una cornucopia molto variegata di programmi di tutti i tipi di oggi e (molto graditi) di ieri. Notevole lo sforzo della Rai nell’offrire anche contenuti di carattere culturale, oltre che per la scuola e per i bambini più piccoli.
Soffre sempre di più la stampa. Nonostante le edicole siano aperte, le copie cartacee continuano a scendere, e si capisce che gli editori tradizionali fanno fatica a trasformare la loro offerta portandola in un segmento presidiato da magazine on line che hanno saputo bilanciare assai bene brevità e approfondimenti. Fioccano così le offerte promozionali (tipo 10 euro al mese per consultare il quotidiano on line), ma è del tutto evidente che con introiti del genere sarà difficile mantenere costose redazioni con altrettanto costosi editorialisti abituati ad ammannire lunghissime articolesse: e pensare che grandi maestri come Montanelli e Biagi sapevano scrivere editoriali molto interessanti di sole sessanta righe. C’è anche un altro fatto: nelle pause dello smart working, gli adulti trovano sempre qualche minuto per dare un’occhiata a un sito di news continuamente aggiornato, per cui quello che un tempo era il giornale con le notizie fresche di giornata, sembra oramai il giornale di ieri, che è buono per incartarci il pesce, come diceva Montanelli.
Ha fatto un po’ di rumore un video di Urbano Cairo che non era destinato al pubblico ma ai venditori di pubblicità: suggeriva loro di sollecitare il senso civico degli investitori affinché sostenessero, in tempi di fake news, i media più seri. Oltre che a provocare una crudele selezione della specie eliminando i soggetti più vecchi e più deboli, il coronavirus sta accelerando la selezione anche tra i media, e non solo.
Pensiamo al teatro: l’attuale stagione è andata, molti i produttori falliti, molti gli attori in difficoltà. Che succederà al cinema e alle serie tv? Per quanto tempo si dovrà stare a distanza di un metro e con le mascherine? Niente baci, niente abbracci e tantomeno amplessi… c’è chi sta pensando di sfruttare la tecnica che mette insieme gli attori che recitano da soli per poi unirli con la computer grafica, ma mi pare artificioso e troppo costoso.
Viste le notizie che parlano di una nuova ondata di infezioni in Cina e in Asia, mentre il virus si sta diffondendo in Europa e impazzando in America e in India, credo che anche un intero anno cinematografico sia andato, e si ripartirà solo una volta trovato un vaccino.
Ho accennato alla pubblicità: in tempi drammatici come questi è normale che gli investimenti si riducano, dato che il pubblico non può andare in giro per negozi di elettrodomestici, abiti, concessionari di automobili, eccetera. Inoltre, il crollo del Pil preannuncia tempi duri, e ben pochi sono disposti a spendere. Tengono botta le pubblicità degli alimentari, anche perché in moltissimi stanno riscoprendo il piacere di cucinare. Stanno crescendo gli spot che vengono rimontati con i richiami alla forzata clausura cercando di esorcizzarla. Indovinatissimo lo spot di TIM che può fare appello alla possibilità di evadere con la fantasia grazie ai contenuti della Disney, della Marvel e di altri grandi produttori di film con supereroi che ci piacerebbe potessero vincere anche la minaccia del virus. Curiosamente testarda e fuori tempo invece la programmazione dello spot Wind che termina con una moltitudine di abbracci.
Non manca chi sa davvero aguzzare l’ingegno: due ragazzi di Amsterdam, con lo zampino di Netflix, hanno ideato un video virale in cui si vedono ovunque affissioni che “spoilerano” il finale delle serie tv. Lo slogan: “Ecco quello che vi capita se andate in giro. Meglio stare a casa”. Naturalmente è tutto creato grazie alla computer grafica, ma sembra vero, ed è semplicemente geniale.