L’Italia ha, da circa dieci giorni, spento i motori. La ripartenza ci sarà, ma non sarà come quella successiva a un lungo fine settimana. Non sappiamo quanto durerà, ma l’attesa sarà utile per capire come affrontare il futuro.

Le cronache politiche ci hanno raccontato di un’Europa che fatica, anche di fronte a un’emergenza di tale portata, a fare fronte comune tanto nella politica sanitaria che economica e di un’Italia che ha le mani legate dal suo ingente debito pubblico. Se, tuttavia, almeno negli annunci degli ultimi giorni, l’Europa sembra orientarsi verso una piena e convinta solidarietà, e lo stesso Governo italiano ha emanato i primi, urgenti, provvedimenti a favore dell’economia, si sbaglierebbe a immaginare che la ripresa possa dipendere solo dall’intervento pubblico. Non sarebbe, peraltro, né utile, né prudente.



Infatti, le autorità pubbliche hanno dimostrato, almeno in Italia, di non essere in grado di far arrivare ovunque le proprie risorse e, anzi, di disperderle in mille rivoli, rimanendo perfino inerti mentre scompaiono negli inghiottitoi della corruzione. Inoltre, il ricorso alla spesa pubblica non potrà che incrementare anche il debito sovrano: prima o poi, Patto di stabilità a parte, qualcuno ce ne chiederà il conto e, con l’incremento del debito pubblico, il nostro Paese rimarrà ancora più esposto a possibili tempeste o speculazioni finanziarie. Sarà quindi necessario che ciascuno faccia la propria parte.



La finanza privata, per esempio, potrà aumentare i propri investimenti nel settore dei prodotti finanziari sostenibili. Tra questi, vale la pena ricordare i cosiddetti social bond, ossia strumenti finanziari finalizzati al perseguimento di progetti di particolare rilievo sociale. Solitamente, vengono emessi da istituti di credito a sostegno di iniziative di enti del Terzo settore e prevedono, per l’investitore, un rendimento più basso di quello offerto da strumenti tradizionali a fronte della consapevolezza del maggiore impatto sociale. Allo strumento dei social bond si potrà dunque pensare per l’erogazione di sostegno finanziario alle imprese appartenenti a determinate filiere produttive o commerciali o a particolari distretti industriali particolarmente colpiti dalla crisi.



Un ruolo di capofila lo potrà però assumere anche la finanza corporate, con l’emissione di obbligazioni finalizzate al sostegno della propria filiera di fornitori. Si tratterebbe, infatti, di uno scopo comunque coerente con la mission societaria, essendo ormai un dato acquisito nella riflessione aziendalistica e giuridica che lo scopo dell’impresa non è solo la massimizzazione del profitto, ma va identificato nel “successo a medio lungo termine”. In questa prospettiva, anche la raccolta di capitale per offrire sostegno finanziario ai propri fornitori è uno strumento strategicamente coerente con l’oggetto sociale.

L’impegno per una ripresa inclusiva dovrà però caratterizzare anche le scelte commerciali ordinarie delle imprese. È sotto gli occhi di tutti lo slancio di molte imprese private nel sostenere, con importanti erogazioni liberali, l’attività degli ospedali in questi giorni di lotta. Ugualmente, anche prima degli ultimi provvedimenti governativi, moltissime aziende avevano interrotto la propria attività commerciale e produttiva, come atto di sensibilità verso la salute dei propri lavoratori.

Commoventi sono state le manifestazioni popolari sorte, spontaneamente, in tutta Italia per vincere il senso di solitudine e di impotenza determinato dalla reclusione in casa. Sono tutti segnali importanti di una sensibilità sociale e comunitaria viva. La sfida che impegnerà l’imprenditoria e l’intera società al momento della ripresa è quello di mantenere vivo questo humus di solidarietà anche quando sarà terminata la spinta economica.

Un immediato banco di prova di questa ritrovata solidarietà sociale sarà quello dei rapporti contrattuali con fornitori e clienti. La chiusura improvvisa e prolungata delle attività commerciali sta infatti determinando un costo economico diffuso, rappresentato da ritardi delle prestazioni, maggiori spese per l’approvvigionamento e la produzione, mancati introiti e ricavi, o, addirittura, l’impossibilità di erogare quanto concordato. Sono aspetti che il diritto privato regola indicando, salomonicamente, quale delle due parti del rapporto debba sostenere il costo o la perdita.

Tuttavia, le categorie logiche del diritto privato possono rivelarsi particolarmente rigide. Chi è parte di un contratto può infatti liberarsi dagli obblighi assunti solo di fronte a situazioni imprevedibili che determinino un’assoluta impossibilità di svolgere la prestazione (l’impossibilità sopravvenuta) o un’eccessiva onerosità. L’impossibilità consiste in un impedimento materiale definitivo e assoluto allo svolgimento della prestazione nei tempi attesi dal creditore o nelle modalità idonee a soddisfare il suo interesse; l’onerosità sopravvenuta è invece un aumento imprevedibile dei costi necessarie per l’esecuzione di quanto contrattualmente previsto, oltre quanto fosse ragionevolmente immaginabile al momento della stipulazione del contratto.

Nell’attuale emergenza non è però affatto facile determinare se una situazione di difficoltà a eseguire una prestazione assuma i caratteri previsti dalla legge (impossibilità sopravvenuta o eccessiva onerosità sopravvenuta) per lo scioglimento del rapporto e la liberazione del debitore. Ad esempio, il conduttore di un negozio chiuso per l’emergenza può chiedere una riduzione del canone di locazione per il tempo della chiusura e i mesi immediatamente successivi? Un commerciante che abbia effettuato, prima dell’emergenza, degli ordini di acquisto, potrà revocarli o annullarli? Un imprenditore che abbia avuto la forza lavoro colpita dal virus o posta in quarantena potrà richiedere la rinegoziazione dei termini di ultimazione o consegna dell’appalto, o, ancora, evitare il pagamento di penali per il ritardo?

Sono alcuni esempi di situazioni che appaiono meritevoli di considerazione per riequilibrare il rapporto contrattuale anche quando non raggiungano il limite dell’impossibilità o dell’eccessiva onerosità sopravvenute. In via generale, è però consentito ai giudici decidere solo se una prestazione è dovuta o meno, se c’è stato ritardo colpevole o incolpevole, sciogliere il rapporto e, eventualmente, condannare una delle parti al risarcimento del danno.

Il giudice non può entrare nel “merito” del rapporto contrattuale, né, quindi, rideterminare prezzi o tempi della prestazione nelle situazioni in cui una simile rideterminazione risponderebbe all’equità sociale. La conseguenza è che l’eventuale decisione giudiziale può rivelarsi contrastante con il senso giustizia sociale. Peraltro, il diritto privato e la decisione del giudice si muovono da una prospettiva atomistica, legata e confinata, cioè, al singolo rapporto. Tuttavia, su larga scala, l’iniquità della soluzione giuridica può innescare un effetto domino su tutta la catena produttiva a cui appartengono le imprese in lite.

Usando una terminologia purtroppo ben nota in questi giorni, il rischio è che da piccoli focolai possa innescarsi una epidemia economica. Infatti, il ricorso sistematico al contenzioso o il conflitto contrattuale possono determinare anche la scomparsa dal mercato di alcuni operatori. E d’altronde, gioverebbe davvero a una delle parti sentirsi dare ragione dal giudice al termine di un giudizio che, nelle migliori delle ipotesi dura almeno due anni?

Sotto altro profilo, anche l’utilizzo massivo delle procedure concorsuali minori (come il concordato preventivo in continuità) potrebbe finire per aggravare il sistema. Sono tutti rischi concreti, il cui governo può solo in parte essere affidato alla politica o alle istituzioni. È quindi necessario che le imprese e i privati mantengano vivo, alla ripresa delle attività, quel senso di mutuo soccorso emerso in questi giorni.

Nella relazione con i propri fornitori sarà allora auspicabile una ritrovata capacità di ascolto delle esigenze sorte con l’emergenza e una disponibilità alla rinegoziazione dei termini e delle condizioni contrattuali che tenga conto delle difficoltà, condividendo così il costo economico sorto dall’emergenza.

E, già in questi giorni in cui le imprese sono chiamate ad assumere decisioni importanti per affrontare la crisi, non si dovrà mai perdere di vista l’obiettivo di preservare, per quanto possibile, anche la posizione di fornitori e clienti. Esemplare, in questo senso, è la scelta dell’operatore telefonico Iliad di pagare immediatamente tutte le fatture emesse dai propri fornitori, senza neanche attendere la normale scadenza a sessanta giorni.

Una decisione così radicale può essere, ovviamente, assunta solo da quei soggetti che economicamente abbiano subito meno gli effetti delle misure governativi. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, entrambe le parti del rapporto si trovano ad affrontare gravi conseguenze economiche. In queste situazioni, ognuno dovrà fare la sua parte, riconoscendo dilazioni di pagamento, sconti o rideterminazioni dei prezzi o delle somme dovute.

Si tratta, evidentemente, di soluzioni fondate su una libera determinazione della volontà delle parti. Lo Stato potrà incentivare il raggiungimento di un’intesa tra i contendenti ad esempio ampliando, per questa fase di emergenza, l’ambito di operatività della mediazione civile e commerciale o della cosiddetta negoziazione assistita; sono istituti processuali per la soluzione alternativa delle controversie introdotti negli ultimi anni e che, in alcune materie, le parti devono obbligatoriamente attivare prima dell’avvio di una controversia giudiziaria per tentare una composizione bonaria della vertenza.

L’ampliamento dell’obbligatorietà di questi strumenti rappresenterebbe – va precisato – sottintende una parziale abdicazione dello Stato al proprio potere giurisdizionale: chi se non lo Stato, infatti, deve assicurare giustizia? Tuttavia, in una situazione di tale emergenza economica, anche la promozione di canali alternativi di giustizia può trovare giustificazione. Anche il successo di tale strumento di conciliazione non può però prescindere dalla sensibilità delle imprese di riconoscere nell’altra – sia esso un fornitore o un cliente – una risorsa importante e sostanzialmente un partner del proprio business.

La condivisione del costo della crisi deve diventare, non una perdita, ma un investimento nella relazione. In un’epoca in cui la sostenibilità e la responsabilità sociale di impresa sono diventate il tratto caratterizzante il capitalismo europeo, è il dialogo attento e comprensivo con gli stakeholders esterni lo sforzo che tutti gli operatori del mercato devono affrontare per il bene comune. Ascolto e condivisione saranno le parole chiave per una gestione delle relazioni contrattuali capace di sorreggere una ripresa economica davvero sostenibile.

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