Il Governo, come annunciato dallo stesso Premier Conte alle Camere, sta lavorando a un nuovo decreto da varare nel mese di aprile anche per contrastare gli effetti del coronavirus sull’economia. Quello varato una decina di giorni fa, ribattezzato “cura Italia”, non è stato esente da critiche. Per l’economista, ed ex ministro della Coesione territoriale e del Mezzogiorno, Claudio De Vincenti, il decreto del 17 marzo «è sicuramente un primo importante passo nella giusta direzione: sostegno ai lavoratori dipendenti e autonomi che vedono falcidiato il proprio reddito, aiuti alle imprese per fronteggiare la crisi di liquidità che deriva dalla riduzione e in certi casi l’azzeramento dei ricavi. È chiaro però che serviranno ulteriori risorse e in quantità molto significativa e che gli strumenti varati andranno resi più rapidi e incisivi».



Nell’incertezza odierna sul contenimento del nuovo coronavirus, crede che l’Italia debba sostenere diversamente le imprese e i cittadini?

La strada è quella indicata dal decreto, ma come dicevo bisogna migliorare gli strumenti e dare segnali forti sulle risorse. Mi spiego: per la Cassa integrazione ordinaria bisogna semplificare le procedure, tagliando concertazioni e verifiche ex ante e rinviandole, con le eventuali sanzioni, a dopo l’emergenza sanitaria; lo stesso discorso, a maggior ragione vale per la Cassa in deroga, dove in più si deve saltare il passaggio per le Regioni e procedere con domande dirette delle imprese all’Inps. Per gli autonomi – tutti, anche quelli delle Casse professionali – si deve prevedere una procedura molto semplice di autodichiarazione riguardo alla propria caduta di reddito, con verifica ex post dopo la fine dell’emergenza sanitaria. E poi bisogna evitare qualsiasi forma di “rubinetto” (ossia, si accettano domande solo fino a esaurimento delle risorse stanziate) e prevedere che l’Inps proceda, come si dice, a sportello e soddisfi le richieste via via che arrivano e senza limiti. Anche per questo è necessario stanziare quanto prima ulteriori risorse. Ma anche per le imprese bisogna rafforzare le misure del decreto.



Nel senso che si dovrebbero prevedere aiuti diretti alle imprese, senza cioè la mediazione delle banche?

Prima di tutto si deve potenziare il sistema di garanzie introdotto dal decreto per il credito bancario alle imprese. Per quello alle piccole e medie, che passa per il Fondo centrale di garanzia, si deve innalzare l’importo massimo garantito e la percentuale di copertura. Ma serve anche una forte azione informativa presso tutte le piccole e le microimprese, ricordando a tutti che l’accesso alle garanzie del Fondo è previsto per tutte le partite Iva, anche ditte individuali e autonomi. Bisogna poi chiarire alle banche, specie a quelle locali (il problema è particolarmente sentito nel Mezzogiorno), che è loro dovere rispondere proattivamente alle richieste da parte delle imprese facendo ricorso effettivo al Fondo centrale. Ed è ora di estendere la garanzia del Fondo anche alle cosiddette mid-cap (imprese tra i 250 e i 500 dipendenti). Per il credito bancario alle grandi imprese, si deve applicare rapidamente la norma che attiva la garanzia da parte della Cassa depositi e prestiti. Ma si devono anche prevedere interventi diretti, come per esempio propone Confindustria per le grandi imprese strategiche: prestiti Cdp e Bei che ne sostengano la liquidità, un Fondo pubblico (aperto anche a finanziatori privati) per la partecipazione diretta nel capitale.



Secondo lei ci sarebbe bisogno di una diversa visione e di una maggiore assunzione di responsabilità da parte dei leader, dei deputati e dei senatori?  

Credo sia ora davvero di riportare al centro della discussione politica i problemi reali vissuti dai cittadini italiani e intorno a questi ritrovare il senso delle istituzioni, il senso della responsabilità verso il bene comune di tutti. Spero proprio che la drammatica emergenza sanitaria che il Paese sta vivendo spinga i partiti e i loro leader a riscoprire la politica, che non è la ricerca di consenso a tutti i costi, la sollecitazione populista degli istinti peggiori, il veleno della sfiducia verso tutto e verso tutti. La politica è l’impegno appassionato e costante a cercare le soluzioni per i problemi comuni, a costruire insieme il futuro della comunità nazionale.

Ha ancora un senso che il dibattito politico sia piuttosto fermo alla tempistica delle misure di contenimento dei contagi e alle dissonanze, chiamiamole così, fra Governo, Presidenti di Regione e Sindaci?

Onestamente, non se ne può più della cacofonia di ordinanze regionali e locali: del resto, in larga misura, al di là delle roboanti dichiarazioni, finiscono per ripetere al 90% quello che c’è già nei decreti e nelle ordinanze del Governo, innovando solo per dettagli spesso secondari. È ora invece di ritrovare una coesione istituzionale forte, in cui i particolarismi devono fare un passo indietro in nome dell’interesse nazionale. In queste settimane sta mostrando la corda l’ambigua attribuzione di competenze tra Stato e Regioni prevista dall’attuale Titolo V della Costituzione e si sente la mancanza almeno di una norma che faccia chiarezza sul fatto che è compito dello Stato stabilire disposizioni di valore generale e comune a tutte le Regioni per la tutela della salute. Una norma come quella che veniva proposta nella sfortunata riforma costituzionale che fu purtroppo bocciata dal referendum del dicembre 2016: oggi vediamo quanto invece sarebbe stata utile.

Serve, in questa emergenza, mantenere il Reddito di cittadinanza per come concepito?

Serve, anche alla luce del rischio che la crisi porti a un aumento del numero di famiglie in condizioni di povertà. Bisogna però essere consapevoli che questa misura è stata impostata in modo sbagliato, separando nei fatti l’erogazione del reddito dal piano di reinserimento sociale e lavorativo che dovrebbe essere elaborato dai servizi sociali del Comune di residenza. In questo modo ha finito troppo spesso per alimentare il lavoro nero, con effetti negativi sulla coesione sociale e sulla stessa lotta alla povertà. A breve, nella situazione in cui ci troviamo, non si può che applicare la norma nella sua forma attuale perché in questa emergenza è prioritario assicurare un sostegno a quanti dovessero farne richiesta. Ma in prospettiva, superata l’emergenza, andrà corretta nel senso che dicevo, ossia per usufruire del reddito è necessario che il cittadino aderisca attivamente a un piano operativo di reinserimento. Il che significa che i servizi sociali dei Comuni dovranno svolgere il ruolo chiave per il buon funzionamento della misura e andranno quindi molto rafforzati, problema che finora non è stato affrontato.

Qual è lo scenario economico che immagina, se la “stretta” dovesse, come è probabile, proseguire ancora a lungo?

Le previsioni delle maggiori istituzioni internazionali convergono nel prevedere una dura e prolungata recessione: avremo bisogno di forti politiche di rilancio dell’economia trainate da investimenti pubblici e da misure di stimolo agli investimenti privati. Il Green Deal lanciato a gennaio dalla presidente della Commissione europea si rivela oggi una anticipazione straordinaria, è quello il quadro di riferimento per impostare politiche di ripresa economica e di crescita duratura.

La presidentessa della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha annunciato l’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità, precisando che ciò consentirà ai Governi di “pompare nel sistema denaro finché serve”. Che cosa significa nel concreto?

È anche questa una grande innovazione della Presidente e, sarebbe bene non dimenticarlo, del Commissario italiano agli Affari economici (Paolo Gentiloni, nda): per un verso il Green Deal fornisce la bussola per il dopo coronavirus; per altro verso, di fronte all’emergenza che sta investendo tutta l’Europa, l’attivazione della clausola rompe la ritrosia dei Paesi del Nord verso un uso attivo della politica economica. Sospendendo il Patto di stabilità, la Commissione consente a ogni Governo di immettere nella propria economia tutta la moneta che si rivelerà necessaria per sostenere famiglie e imprese e sventare il pericolo di un collasso delle attività produttive. Il disegno andrebbe completato con l’emissione di titoli del debito pubblico europei che consentano politiche generali e comuni, non solo dei singoli Paesi, per fornteggiare la crisi innescata dalla pandemia. Purtroppo, abbiamo visto proprio in questi giorni le spaccature che ancora contrappongono i Paesi del Nord agli altri e fanno sì che l’Unione Europea nel suo insieme stenti a far propria la linea innovativa della presidente von der Leyen.

(Emiliano Morrone)

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