Più che gli italiani, accusati finora da più parti di essere gli “untori” del continente, a diffondere il coronavirus in Europa sarebbero stati i tedeschi. A rivelarlo è uno studio, a cui i media hanno dato grande risalto e che sui social è stato ripreso anche con feroce ironia, in base al quale un uomo di 33 anni di Monaco di Baviera potrebbe essere stato il primo europeo a manifestare i sintomi tipici del Covid-19, difficoltà respiratorie e febbre alta, già il 24 gennaio. Ma per il professor Massimo Ciccozzi, docente e ricercatore dell’Università Campus Bio-medico di Roma, a capo del team che ha ricostruito le mutazioni del coronavirus, “a questo punto si tratta di una notizia di scarsissimo interesse. Abbiamo cose ben più importanti di cui occuparci, ovvero contenere il virus e lavorare alle cure, vaccino compreso”. Ciccozzi ricorda che “questa settimana e la prossima sono decisive. Ora è importante che la gente osservi le misure di contenimento assunte dal governo e dalle autorità sanitarie, piuttosto che lamentarsi delle limitazioni alle libertà personali come in molti stanno facendo”.
Secondo una mappa filogenetica pubblicata sul sito Netxstrain, che ricostruisce una sorta di albero genealogico del virus, e analizzando il percorso e le mutazioni del coronavirus, gli studiosi hanno rilevato che sarebbe entrato in Europa più volte. Questo cosa ci dice?
È possibile, tenendo conto degli scambi commerciali che tutti i paesi del mondo hanno con la Cina, ma questa non è una gran notizia. Direi anzi che è abbastanza scontato che sia avvenuto così.
E cosa pensa del fatto che, secondo i medici tedeschi, il primo caso europeo di coronavirus sia avvenuto proprio in Germania, alimentando la successiva catena di contagi? Hanno sbagliato a non tenerne conto?
Stiamo parlando di modi diversi di fare politiche sanitarie pubbliche, i tedeschi hanno le loro idee. Noi siamo quelli che hanno fatto più tamponi di tutti, magari se si fossero comportati così anche in Germania avrebbero trovato più casi. Io credo all’evidenza scientifica. Ingressi multipli ce ne sono senz’altro stati, ma a questo punto abbiamo altro a cui pensare, adesso. Ci sono cose più importanti di cui occuparsi.
A che punto siamo con il contagio?
Ogni virus svolge il suo compito, che è quello di fare tante infezioni. All’inizio cresce, è naturale, ma quando si adottano misure di contenimento come abbiamo fatto in Italia, la curva va in discesa. Vediamo infatti che sta frenando, i casi sono in calo rispetto a tre settimane fa.
Si può prevedere quando arriverà il picco del virus?
È ancora presto: questa settimana e la prossima saranno molto importanti.
Nel frattempo che suggerimenti particolari ha da dare alle persone?
I soliti che stiamo dando sin dall’inizio. Nessuno ovviamente scommette oggi sui tempi, ma le misure adottate sono quelle obbligatorie per contenere un virus. La gente si può anche stizzire, può lamentarsi del fatto che stiamo limitando le libertà personali, visto che non ci si può stringere la mano e neanche baciarsi, ma deve capire che solo con questo sforzo, cambiando temporaneamente le abitudini, si possono eliminare le infezioni.
Gli scienziati cinesi hanno individuato due ceppi diversi di coronavirus: il tipo-L, più contagioso e letale, e il tipo-S, meno contagioso. Ci può spiegare di cosa si tratta?
Ho letto l’intero studio condotto dai cinesi, ponderoso e ben fatto. Nutro però dei dubbi. Ho visto l’albero filogenetico, ne ricostruiscono due versioni, ma come fanno a dire che ci sono due ceppi diversi senza valutarne la patogenicità? Non c’è alcuna valutazione. Magari possono esserci due ingressi epidemici diversi, è possibile, ma non si capisce che tipo di selezione hanno fatto. Per dire che un ceppo è più forte dell’altro, si deve verificare un evento fortuito e importante, ma lo studio non lo spiega.
A Genova è stato ordinato un farmaco prodotto da una società americana, la Gilead, usato contro l’Ebola, per sperimentarlo su uno dei pazienti. Conosce questo antivirale? Al momento si stanno utilizzando altri cocktail di medicinali?
È normale fare questo, usare gli antivirali. Sono cocktail di farmaci che si pensa possano in qualche modo fare bene al paziente, al suo sistema immunitario. Attenzione però: non è la terapia per il coronavirus, anche se magari funziona anche contro il Covid-19. Il problema è che se uno guarisce, non c’è comunque la certezza che sia merito del cocktail, e se non guarisce non puoi dare la colpa al cocktail perché non ha funzionato. Allo Spallanzani un cocktail ha funzionato, i due cinesi sono guariti così. Non so precisamente come fosse composto, penso a un mix tra farmaci anti-Ebola e anti-Hiv.
(Paolo Vites)