Durano quaranta giorni entrambe, la quarantena e la Quaresima. Un pugno di giornate nate apposta per fare esplodere la mancanza. La quarantena è una misura di sicurezza a-posteriori. Dopo una minaccia manifesta, si corre ai ripari per limitarne i danni: “Per tutti gli italiani che arrivano dal Nord – recita uno dei comunicati odierni – è prevista la quarantena se mostrano sintomi anche leggeri di potenziale contagio”. La Quaresima, invece, è misura di sicurezza a-priori: ci sono pericoli non ancora manifesti che s’invita a calcolare.
La legge sottostante è elementare: la distanza è solamente un problema di geometria, ma l’assenza non la risolvi con nessuna equazione. Una presenza, tra l’altro, non sempre ti racconta la verità: l’assenza, invece, non riesce a mentirti. Vale con le persone, ancora prima che con la materia: “Quello che ci manca ci attira. Nessuno ama la luce come il cieco” scrive Victor Hugo. Con Cristo la natura non muta d’aspetto. Da anni, di Lui, mi fanno impazzire due cose: la sua presenza e la sua assenza.
Parte del Nord-Est d’Italia è stata costretta ad entrare in quarantena pochi giorni prima d’essere invitata ad entrare in Quaresima. La costrizione non è un invito, anche se entrambi spartiscono la logica della mancanza: “Ti tolgo, t’invito a toglierti, il superfluo per farti gustare il necessario”. Per chi crede è operazione di ascesi, per chi non crede è prevenzione al contagio del male: per entrambi è gesto d’alta cura. La mancanza, infatti, assomiglia alla notte: amplifica i rumori, i pensieri, l’assenza di chi e cosa ci manca. È come uno di quei megafoni che esalta la voce, fino alla stordimento. “Mi manca andare in piazza, don Marco: in questi giorni casa sta diventando una galera” mi ha scritto un amico costretto alla quarantena. “Prima no?” gli rispondo. “Non ci avevo mai fatto caso” ribatte. “Mai fatto caso” è ammissione implicita di distrazione: c’era tutto, ma non te n’eri accorto. Mica una colpa punibile con la carcerazione: è che l’assenza dice più della presenza: “Regala la tua assenza a chi non dà valore alla tua presenza” diceva Oscar Wilde. Augurio solo in apparenza disgustoso. È tutt’altro.
Cristo, da parte sua, visse da gigante: la sua presenza quasi mai si notò, la sua assenza si ode ovunque. La Quaresima, dunque, è la versione cristiana della quarantena medicinale: un obbligo di dimora interiore per avvertire sulla pelle l’assenza di ciò che è necessario sia presente per vivere. “Giuro che non mangerò insaccati tutta la Quaresima” ha fatto voto qualcuno. Altri rinunciano al tiramisù, alla birra, al burro, alla cioccolata. Qualcuno si autoinfligge acrobazie disumane: niente soldi, benzina, affetti.
Pare sia tutto tempo perso: “È forse questo il digiuno che bramo?” confida Dio al profeta Isaia. Gradito è tutt’altro: “Dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne” (cfr Is 58). Dunque? Dei prosciutti, formaggi, bistecche a Dio non importa granché: Gli interessa che tutta quella roba, ch’è buona da mangiare, sia (con)divisa. Se togli all’uomo un prosciutto di bocca, così tanto per fare, s’arrabbia di brutto: se tu glielo togli per darne metà ad un altro s’arrabbia forse un po’ meno, magari sorride perché non si era nemmeno accorto dell’affamato davanti. Quel sorriso, seppure a metà, è il digiuno gradito a Dio, anche se nella pancia è entrato del prosciutto. Convinto, il nostro Dio, che al mondo non esista una felicità più ammirevole di quella che nasce dal sacrificio.
Nel Nord–Est hanno chiuso anche le chiese in questi giorni. È il paradosso del digiuno eucaristico. Quest’anno, la Quaresima per tanti inizia in quarantena: che Dio si sia accorto che ci siamo abituati a Lui? Mettendoci a digiuno di Lui, sogna, forse, d’essere voluto di più. Rischiando che qualcuno, nel frattempo, s’abitui alla sua assenza. Solo gli innamorati persi rischiano così.