Francia e Germania hanno limitato l’esportazione di materiale medico verso l’Italia, in primis mascherine. La Cina invece invia da subito 9 medici, mezzo milione di mascherine, 4 tonnellate di materiale medico, 1.800 tute protettive, 150mila guanti e altro materiale utile al contrasto del Covid-19. La presidente della comune banca centrale, la Bce, trova il modo, in un frangente simile, di rendere una dichiarazione nella quale, in sostanza, comunica ai mercati che l’Istituzione che rappresenta ritiene il differenziale del costo di finanziamento del debito italiano con quello tedesco un problema non suo. Prima l’Austria e a seguire altri Stati europei (tredici) sospendono lo spazio Schengen chiudendo le loro frontiere all’Italia a sigillare il Paese nella sua tragedia. Nessuna misericordia europea. Nessuna solidarietà nel momento del massimo bisogno. Un’opinione pubblica che dunque, anche nelle sue componenti non “filo-sovraniste”, considera diffusamente, ancora una volta, l’Unione Europea un esperimento fallimentare da cui scappare.



Hanno ragione. Avrebbero ragione. Se non fosse per un particolare. Un dettaglio su cui continuano a costruirsi le immense fortune politiche di alcuni partiti nazionali. L’Europa che gli italiani pensano esistere e da cui scappare è il frutto della loro fantasia. Un’entità onnipotente frutto di allucinazione istituzionale. L’Ue è un trattato istitutivo di un’organizzazione internazionale con limitate competenze per attribuzione, molte delle quali ancora necessitanti la volontà unanime degli Stati. L’ambito di tali politiche è essenzialmente economico, essendo competenze e corrispondenti sacrifici di sovranità giustificati solo e nelle misura in cui erano e sono necessari all’obiettivo della costruzione e del mantenimento del più grande mercato del mondo di cui la moneta unica è stato l’estremo compimento. Competenze che, in una comunità di diritto quale è l’ordinamento Ue, sono sottoposte a una feroce rule of law a presidiarne i confini. Non solo a opera della Corte di Giustizia di Lussemburgo ma anche delle Corti Costituzionali degli Stati membri, con in testa la Bundesverfassungsgericht tedesca e quella italiana. L’Ue, insomma, fa quello che gli Stati le hanno detto di fare e molto spesso lo fa se sono tutti d’accordo.



Tante materie di competenza nazionale non sono mai state trasferite all’Unione Europea in una parallela dimensione federale, né tanto meno su basi esclusive. Come l’istruzione, la giustizia, le forze dell’ordine, i lavori pubblici, l’immigrazione, la politica estera, la difesa, l’imposizione diretta, solo per fare alcuni esempi, anche la sanità è questione statale. L’art. 168 del Tfue ritaglia coerentemente all’azione dell’Unione in materia di salute un potere di coordinamento e complemento alle politiche degli Stati. Azione di coordinamento che viene svolta attraverso agenzie, la più importante delle quali è il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), che esiste dal 2005 e ha sede a Stoccolma. Agenzia che indefessamente dallo scoppio di questa crisi sta supportando gli Stati fornendo dati, linee guida e analisi del rischio riguardo l’epidemia.



Così il 7 febbraio scorso l’Ecdc emanava linee guida sui dispositivi di protezione individuale per chi entra in contatto con i contagiati, il 10 febbraio sulle misure non farmaceutiche per ritardare e mitigare l’impatto del Covid-19, il 25 febbraio direttive su come gestire le persone, compresi gli operatori sanitari, che hanno avuto contatti con i contagiati e una checklist per preparare gli ospedali all’arrivo massiccio di malati. Nella stessa data l’agenzia europea ha delineato i criteri che tutti gli Stati Ue avrebbero dovuto seguire per testare i casi sospetti e il 2 marzo, ai fini di sorveglianza europea, chiedeva a tutti gli Stati membri di comunicare i casi acclarati di Covid-19 entro 24 ore dall’identificazione, attraverso il sistema di allarme rapido e di risposta (Ewrs). In definitiva l’Ue come istituzione, sotto la guida della commissaria alla Salute, la cipriota Stella Kyriakides, sta facendo quello che l’ordinamento le consente di fare. Poco e nulla di veramente efficace in casi estremi come questi laddove i “consigli” e la “peer pressure” drammaticamente falliscono.

Secondo l’attuale disciplina dei trattati, un Paese membro potrebbe paradossalmente adottare il medesimo approccio “eugenico” e lasco che fino a pochi giorni fa Boris Johnson propugnava in quanto non esiste un’autorità, una potestas superiore, che in nome di un interesse alla salute dei cittadini europei, adotta delle linee guida veramente vincolanti per i Governi nazionali, che com’è noto si sono mossi alla spicciolata e in ritardo ognuno per conto proprio. Ancora oggi si confrontano nell’Unione le visioni di Paesi, quali Germania, Olanda e Svezia che per ragioni anche culturali sono più resistenti a misure di contenimento sociale, e di altri, in primis il nostro, che le hanno già adottate. Ma se i confini sono comuni, la libera circolazione è principio cardine del diritto europeo e la salute è di tutti, è un bene pubblico europeo, è coerente questo assetto di potere all’evidenza sbilanciato sugli Stati nazionali? E chi si opporrebbe a una cessione di sovranità di questa impegnativa portata? Sospetti? Perché è evidente che queste decisioni non potrebbero essere prese a testa o croce. Dovrebbero trovare legittimazione democratica in un governo che risponde a un parlamento e una politica europea. Politica europea che però passerebbe sopra la testa degli Stati che anche senza i sovranisti si difendono da soli. Quello che assume evidenza palmare in queste crisi è che le figure retoriche, su cui si arrampicano i “nazionalisti dell’Europa sì, ma non così”, e il sì in mente è l’Europa delle patrie, si rivelano in questi casi per quelle che sono. Artifizi buoni solo alla propaganda politica.

Quella che oggi vediamo, sui fronti più sensibili per l’opinione pubblica, è “l’Europa delle nazioni”. Quella del compromesso che i governi di volta in volta raggiungono sulle questioni che stanno loro a cuore di cui rispondono ai loro elettori. In questa chiave è perfino ovvio, se si tolgono gli occhiali dell’Unione come mito, che la revisione del trattato di Dublino, che lascia in carico al primo Paese di approdo la gestione delle richieste di asilo e dei migranti, sia paralizzata da mesi. O che in attesa di essere investiti dallo tsunami dei contagi Germania e Francia blocchino per la loro popolazione mascherine e altri presidi in scarsità. Meno scontato è che vi sia un’autorità, nella persona del commissario Ue al mercato interno, peraltro francese, Thierry Breton, che ha sbloccato la vendita in difesa del detto mercato, avvertendo che “nessun Paese può farcela da solo”. Com’è grave e intollerabile che un banchiere centrale usi incautamente parole che paiono rassicurare alcuni Stati con il rischio di far collassare il sistema.

Ma quello che conta, che conta veramente come si è visto, è che esiste un organo collegiale, espressione genuina di un interesse collettivo del popolo europeo, che prende decisioni anche a maggioranza mettendo in minoranza la Germania e altri Paesi che pare si fossero opposti (com’è accaduto in passato anche con Mario Draghi) all’adozione di un Qe c.d. “pandemico” della portata storica annunciata. Insomma, come dare torto ai Salvini e alle Meloni su quanto si osserva, ma quello che si vede è quello che essi difendono e di cui vorrebbero l’apoteosi, incapaci come sono di una visione comune e, se l’avessero, di farla progredire con la comprensione reciproca.

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