Solo sfruttando una cooperazione tra strutture sanitarie di base, nate grazie alla creatività e alla cultura del sostegno, e strutture regionali si può combattere una emergenza come quella del Coronavirus. Osservando infatti i dati sull’ospedalizzazione di chi è colpito dal virus, che stanno mettendo a dura prova le strutture ospedaliere lombarde, si notano numeri significativi: in Veneto viene ricoverato il 26% dei casi infetti, in Emilia-Romagna il 47% e in Lombardia il 75%. Allo stesso tempo, l’assistenza domiciliare in Lombardia arriva al 14,5% contro il 65% del Veneto e il 46% in Emilia-Romagna (dati del ministero della Salute, 10 marzo 2020, ndr). Come mai? Lo spiega il dottor Alberto Aronica, medico di medicina generale a Milano, che si occupa da molti anni di modelli organizzativi in medicina generale con particolare attenzione all’associazionismo cooperativo, e fondatore della Cooperativa Medici Milano Centro. “La condizione di emergenza sanitaria generata dalla rapida diffusione del Covid-19 ha fatto emergere i limiti dell’ospedalizzazione come unica soluzione per la gestione del paziente positivo ai test. La saturazione dei posti letto rende necessario un’immediata riorganizzazione e quindi una modifica del modello a favore delle cure domiciliari”. Attraverso un auto-monitoraggio telefonico, tecnologico e domiciliare si possono dunque tenere sotto stretta sorveglianza soprattutto i pazienti anziani e quelli particolarmente fragili, cosa che i medici di base da soli non possono fare, ed evitare ospedalizzazioni che sono anche costose, liberando posti letto in ospedale, fonti talvolta di diffusione di patologie anche mortali in pazienti fragili. Un monitoraggio, quindi, senza ospedalizzazione.
Ci può spiegare come funziona il vostro progetto, che era operativo anche prima dell’emergenza Covid-19?
È attivo da circa vent’anni, perché siamo convinti, e lo ribadiva anche il professor Galli dell’ospedale Sacco in questi giorni, che bisogna assolutamente sviluppare la territorialità dell’assistenza medica. Per quanto riguarda l’emergenza coronavirus il nostro sistema sarà operativo in questi giorni tra i soci delle nostre cooperative lombarde (Milano e Legnano), ma poi verrà messo a disposizione di tutte le cooperative associate al Consorzio Sanità: sono 35 con quasi 3.500 medici di medicina generale. Ovviamente siamo disponibili a mettere al servizio di tutti i medici di medicina generale e delle istituzioni il nostro modello e le nostre strumentazioni, perché riteniamo che tutta la medicina di territorio debba cercare di portare il suo contributo per arginare questa situazione drammatica.
In cosa consiste il vostro modello?
Ad esempio, a Milano abbiamo due presidi socio-sanitari territoriali con medici, personale sanitario e un’infermiera all’interno delle strutture della STT Nord, che gestiva i poliambulatori territoriali, e collaboriamo con gli specialisti nella gestione delle cronicità. Il paziente trova tutte le risposte diagnostiche specializzate.
Pazienti che si trovano nelle loro abitazioni, giusto?
Sì. A prescindere dall’emergenza Covid-19 gli anziani hanno comunque bisogno di assistenza socio-sanitaria. Purtroppo in Lombardia, dove esiste una mentalità concentrata sull’ospedalizzazione, non siamo riusciti in pieno a far questo. Se si potessero unire le forze, secondo noi si potrebbe generare anche un notevole risparmio economico.
Ci spieghi meglio.
Guardiamo ai dati di questa emergenza sanitaria. In Veneto e in Emilia-Romagna, dove esiste da tempo un sistema di cure domiciliari molto avanzato rispetto alla Lombardia, si riescono a tenere a casa persone con sintomi sospetti o in fase iniziale di malattia, ricoverando una persona su 4. In Lombardia, invece, sono 3 su 4. Il loro tasso di mortalità, poi, è minore, perché un paziente già debole che va in ospedale, per quanto sanificato, si trova in un luogo che è ricettacolo di altri germi. L’alta mortalità lombarda può essere forse determinata anche da questo.
Finora nessuno l’aveva detto…
Ho citato il professor Galli che l’ha fatto capire. Non voglio certo dire che gli ospedali lombardi non siano efficienti e ben curati. Ma parlano i dati epidemiologici. La grande differenza nel numero dei decessi è data dall’ospedalizzazione rispetto alla domiciliarizzazione. Lo facciamo da tempo, non solo adesso, e siamo convinti che assistere i pazienti da casa sia molto più sano, oltre che permettere un gran risparmio economico, se pensiamo che una giornata di degenza senza terapia costa 350 euro al giorno.
Come applicate il vostro modello?
Abbiamo a Milano sei medici, tre segretarie e 9mila pazienti. Mandiamo l’infermiera a fare terapie domiciliari, nulla a che vedere con una badante. Le società prendono in carico la gestione infermieristica, ma poi c’è poco rapporto con il medico curante, per cui c’è uno scollamento, mentre il mio personale mi aggiorna ogni giorno.
Poi?
In questa emergenza la gente deve stare a casa, i medici non possono andare a vedere tutti i pazienti a domicilio. Possiamo fare una video visita, che anche dal punto di vista psicologico li rafforza, vedere il paziente è già un fatto clinico. Chiediamo al paziente un insieme di parametri che ci deve dare ogni giorno, come la frequenza respiratoria e quella cardiaca. In caso di livelli troppo elevati, scatta un alert che lancia un avviso tramite sms al medico e al paziente che, se non trova il suo medico, deve chiamare il 118.
E quindi scatta il controllo con tampone ed eventuale ricovero?
Noi aiutiamo i medici a intervenire solo dove c’è una evoluzione. Vogliamo collaborare con la Regione per regalare questo sistema informatico già sviluppato in modo che sia messo a disposizione. Se noi organizziamo gruppi che facciano interventi domiciliari, i medici potrebbero gestirli e si libererebbero posti letti per chi è più grave. Si tratta di sviluppare la territorialità, non possiamo mettere tutti in ospedale. I malati cronici assorbono normalmente il 70% della gestione medica, il nostro modello lo può fare la medicina di base. Gli ospedali, per quanto abbiano tentato, non possono farlo.
(Paolo Vites)