Dopo che è arrivata la notizia dell’isolamento del ceppo italiano del Coronavirus di grande interesse è, nel momento in cui sembra un po’ alleggerirsi l’emergenza durata una settimana nel nostro Paese con l’emergere dei primi casi, soprattutto legata a un altro studio nostrano che ha dimostrato come l’epidemia sia nata addirittura tra ottobre e novembre 2019: un’affermazione che ha come conseguenza il fatto che la circolazione di questa nuova forma di Coronavirus sia iniziata in Cina ben prima dei cosiddetti casi di polmonite sospetta e che erano stati sottovalutati dalle autorità sanitarie locali. La ricerca condotta da alcuni scienziati dell’Università Statale di Milano su quelli che sono stati i primi mesi di vita di quello che è conosciuto col nome in codice di CoVid-19 rivelano infatti che il periodo da cerchiare in rosso è quello tra la seconda metà di ottobre e la prima metà del mese successivo: per arrivare a questa conclusione i ricercatori avrebbero effettuato infatti una indagine epidemiologica su ben 52 genomi virali del patogeno suddetto.



CORONAVIRUS, STUDIO ITALIANO: “EPIDEMIA CIRCOLAVA GIA’ DA OTTOBRE 2019”

Ma quali conseguenze hanno i risultati di questo studio italiano sull’emergenza Coronavirus? Innanzitutto l’aver individuato questo periodo chiave verso la fine del 2019 spiega come nel mese di dicembre l’epidemia in Cina abbia avuto una clamorosa accelerazione costringendo il Governo cinese di Pechino a prendere i primi provvedimenti e all’impossibilità di tenere sotto la cenere un fenomeno che andava assumendo proporzioni sempre più preoccupanti. Lo studio condotto presso il laboratorio della Clinica delle Malattie Infettive presso l’Ospedale “Sacco” di Milano, che è stato ritenuto meritevole inoltre della pubblicazione sul prestigioso “Journal of Medical Virology” e verrà preso in considerazione pure dai vertici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si è focalizzato sulle variazioni del genoma e non sulla mera casistica, hanno spiegato gli autori all’Adn Kronos, e tenendo presente come detto 52 genomi virali raccolti fino allo scorso 30 gennaio 2020. Insomma, un lavoro che non va certo nella direzione della ricerca di una cura perché si è incentrato invece sul definire in modo finalmente chiaro una datazione cronologica dell’infezione in questo suo stadio ancora embrionale e del modo/tempo in cui si propaga contagiando nuovi soggetti.

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