Dopo l’appello dei 4 presidenti regionali di Confindustria di settimana scorsa, continuano a levarsi dal mondo imprenditoriale richieste per poter riprendere al più presto l’attività. “Dobbiamo riprendere, ma in totale sicurezza, sentendo il dovere di lavorare perché una parte del Paese è nelle condizioni di poterlo fare”, ha detto Luciano Vescovi, presidente di Confindustria Vicenza, alla Repubblica. Riaprire è quanto mai importante, aggiunge Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, per quelle aziende che hanno ricevuto molti ordini negli scorsi mesi, «anche perché ci stiamo avviando verso un periodo di crisi economica drammatica, del resto già esaurientemente preconizzata anche da Mario Draghi nel suo intervento sul Financial Times, in cui evidenziava la necessità di un pronto intervento per l’erogazione di credito alle imprese bisognose di liquidità».
Davvero andiamo incontro a una crisi così grave, come ha anche prospettato il Fondo monetario internazionale, secondo cui il Pil italiano scenderà del 9,1% quest’anno?
Che la situazione sia drammatica è documentato dalle numerose previsioni macroeconomiche che sono state divulgate nelle ultime due settimane, alcune delle quali vedono una caduta del Pil addirittura in doppia cifra. La riapertura è quindi fondamentale, a mio avviso, soprattutto prevedendo una sorta di corsia preferenziale per le imprese che hanno in carniere degli ordini esteri importanti, molti dei quali sopraggiunti negli ultimi mesi proprio per il blocco, sia produttivo che logistico, della Cina dovuto al coronavirus. Tantissimi grossisti mondiali di componentistica e meccanica si erano per questa ragione rivolti alle imprese italiane e personalmente ne ho visitate alcune con ordini per due-tre mesi come non si erano mai visti. È chiaro che dovrebbero riaprire in totale sicurezza e in questo senso sarebbe importante un intervento dello Stato.
In che senso Professore?
Alcune di queste imprese potrebbero avere difficoltà a reperire il materiale necessario a garantire la sicurezza dei propri lavoratori. Io credo che dovrebbero essere aiutate dallo Stato, perché se hanno degli ordini esteri è come se questi rappresentassero in questo momento un patrimonio nazionale. Non essere in grado di soddisfarli significa letteralmente buttare denaro al vento e creare dei problemi occupazionali senza alcuna ragione, con un aggravio per le casse pubbliche. Bisognerebbe permettere a delle imprese scrupolose, che magari non rientrano nelle categorie che oggi, grazie anche a delle deroghe, possono operare, ma che tuttavia hanno degli importantissimi ordini, di poterli evadere, anche con l’eventuale fornitura di dispositivi di sicurezza da parte dello Stato, specialmente per le Pmi che hanno più difficoltà a reperirli.
Può essere quindi l’export a tenere a galla la nostra economia come avvenuto in passato?
No, perché dobbiamo ricordarci che i nostri principali mercati di sbocco sono Germania e Francia, con la prima alle prese, già da prima dell’emergenza coronavirus, con una crisi del settore automotive, e la seconda dove si prevede una recessione, anche se non profonda come la nostra. E anche Stati Uniti, Gran Bretagna e Spagna, altri importanti approdi delle nostre esportazioni, non vivono un buon momento. Dunque una volta esaurite le commesse che ci sono avremo un export in ginocchio. La fascia di ordini di cui ho parlato non durerà in eterno e ci avvieremo a un’estate e un autunno veramente duri. Per questo sarebbe opportuno che si cominciasse a operare rapidamente su due fronti, su cui realmente si può realizzare una sorta di compensazione alla caduta del Pil.
Quali sono questi fronti?
Il primo è quello dell’edilizia privata, anche perché in queste settimane gli italiani stanno riscoprendo l’importanza della casa e delle sue pertinenze, e degli interventi per i territori, i parchi, gli spazi verdi. Il secondo è rappresentato dalle opere pubbliche infrastrutturali: pensiamo ai lavori stradali e nell’edilizia scolastica che si potrebbero fare in questo periodo. Si tratta di attività perlopiù in spazi aperti, che possono essere svolte in sicurezza. C’è certamente il problema di come regolare il trasporto dei lavoratori coinvolti, ma credo che ci possa organizzare piuttosto che paralizzare completamente l’attività di un Paese e metterlo in ginocchio dal punto di vista economico e occupazionale. Anche perché non si può pensare di vivere in cassa integrazione per mesi e mesi.
Secondo lei, ci potranno essere davvero interventi su questi due fronti?
Se il Governo non si dà una mossa almeno sul secondo fallirà completamente l’obiettivo economico di tamponare la crisi che abbiamo davanti. Occorre uscire dal dibattito sulle opere pubbliche, iniziato in autunno con le proposte di Italia Viva, ma su cui ancora non si è fatto nulla. Neanche di fronte all’emergenza abbiamo avuto un esecutivo in grado di dire che occorre far partire i cantieri. Si era parlato di commissari per le opere più importanti, ma poi non si è saputo più nulla.
Tornando un attimo agli ordini che le nostre imprese hanno avuto a scapito dei fornitori cinesi, c’è da evidenziare che se le attività non riprenderanno le aziende italiane rischiano di perdere allo stesso modo dei clienti…
Chiaramente siamo a un bivio, anche perché la Germania sta continuando a lavorare, mentre noi abbiamo fatto un lockdown completo o quasi. Come si fa a non capire che un’economia tedesca che non si è fermata, se non nell’industria dell’auto, che comunque non attraversava un buon momento, se non può avere rifornimenti dall’Italia si rivolgerà altrove, in Est Europa o in Cina che sta riaprendo? Non solo quindi dobbiamo cogliere gli ordini che sono in carniere, ma dobbiamo anche evitare che si verifichino dei cambiamenti strutturali nei corridoi delle forniture, perché altrimenti è come se buttassimo anni di conquiste di quote di mercato al vento. Non rendersi conto di questo pericolo vuol dire non capire come funziona l’economia italiana. La quale, se non si reggerà in piedi, ci porterà a un post-coronavirus che sarà come un periodo post-bellico.
(Lorenzo Torrisi)