Federal Reserve, Bank of China, Banca centrale europea sembrano fare apparentemente la stessa cosa, ma in realtà non è così. Il punto – spiega Giuseppe Di Gapsare, ordinario di diritto dell’economia alla Luiss di Roma – non è quello della disponibilità di liquidità da parte delle banche dell’eurosistema. È piuttosto quello di fare arrivare i trasferimenti all’economia reale alle imprese e alle famiglie senza passare per il giro del debito pubblico. Fed e BoC possono farlo, la Bce no. O meglio, forse è solo all’inizio. Una differenza che risulterà decisiva per uscire dalla pandemia.
Conte ha affermato in una recente conferenza stampa che Usa e Cina hanno mobilitato risorse pari al 13% del loro Pil. Cifre da capogiro, se paragonate a quelle dell’Ue. Cosa stanno facendo in realtà le due potenze egemoni?
Credo che i dati in possesso del presidente del Consiglio siano attendibili. Questo significa che i nostri competitor su scala globale stanno giocando una partita su di un piano diverso da quello in cui si sta muovendo L’Ue e direi soprattutto l’Unione economica e monetaria che ne costituisce il fulcro.
Qual è la spiegazione?
In quei paesi il ruolo chiave è svolto dalle banche centrali, che sono ovviamente le sole in grado di generare tanta liquidità. L’emissione di titoli del debito pubblico riveste invece un ruolo secondario, se non nullo, di supporto alla politica monetaria. Da noi invece è l’opposto. Si percorre prioritariamente la strada dell’emissione di debito.
Nuovo debito che grava sui singoli Stati, particolarmente quelli già più indebitati.
È inevitabile. Debito più o meno temperato dal ricorso ad una qualche forma di mutualità, sulla quale si stenta però a trovare un accordo, come si registra dalle vicende in corso nell’eurogruppo.
In questa incerta strategia, che ruolo gioca la Bce?
Un ruolo secondario da stampella. Interviene successivamente all’emissione del debito per mitigarne il costo attraverso acquisti di titoli.
Ma La Bce non immette anch’essa liquidità nel sistema? Si parla di circa 3mila mld.
È vero, ma per capire la differenza è il caso di tornare sulle strategie messe in atto da Usa e Cina. Negli Stati Uniti il Governo, in accordo con il Congresso, ha varato un programma di 2.200 mld di dollari a favore dei cittadini meno abbienti per l’accesso alle cure sanitarie, per le piccole e medie imprese, per i lavoratori dipendenti e autonomi privi di mezzi di sostentamento a causa della pandemia. Sussidi statali dunque e spesa pubblica in deficit, senza cioè un correlato aumento delle entrate fiscali. Sembra quasi quello che si sta facendo da noi, ma in realtà non è così.
Quale è la differenza?
Rinvio ad una comunicazione della Fed, con la quale, dopo i primi già consistenti interventi nel mercato finanziario (1.000/1.500 mld di dollari), si annuncia la decisione di acquisti di “Quantitative easing illimitati”. Una specie di wathever it takes in salsa statunitense, più praticato, cioè, che dichiarato.
Sembrerebbero però due linee di intervento autonome.
All’apparenza sì, in realtà si tratta di una triangolazione in cui entrano in gioco le banche. Le banche commerciali acquistano i titoli del debito pubblico emessi dal Tesoro Usa nel mercato primario, cioè all’atto del collocamento, sostenendone così anche la quotazione e mitigando il tasso di interesse. Le banche sanno di poter fare affidamento sulla decisione di acquisti illimitati di Qe da parte della Fed. La loro interposizione consente alla Fed di intervenire successivamente e gradualmente e senza dare troppo nell’occhio riacquistando (o prendendo in garanzia) i titoli del debito pubblico messi in vendita dalle banche nel mercato secondario.
Quale sarebbe la ragione di questa partita di giro?
Si evita così alla banca centrale statunitense l’imbarazzante posizione di acquirente, non di “ultima istanza”, ma di “prima istanza”. Una Fed che dà moneta fresca al proprio Governo in cambio di titoli emessi dallo stesso. Una partita di giro troppo stretta, come uno scambio surreale, alla Dalí, tra la mano destra e la mano sinistra della stessa persona. Scambio che sarebbe invece percepito, nel mercato finanziario globalizzato, come un segnale di debolezza del sistema finanziario ed economico statunitense con implicazioni negative anche per la tenuta del dollaro.
In che senso per la tenuta del dollaro?
Il sistema finanziario statunitense si regge sull’equilibrio della bilancia dei pagamenti ed in particolare sul surplus delle partite in conto capitale, sulla tenuta di quello che io chiamo “meccanismo dollaro-centrico”. La capacità di attrarre investimenti nel mercato finanziario statunitense è essenziale. L’acquisto illimitato di Qe significa dunque anche, e forse soprattutto, che la Fed intende “alleggerire” le banche commerciali e le banche di investimento da una “quantità” illimitata, non solo di titoli di Stato, ma anche di altri “titoli di agenzia” cioè di titoli privati ( obbligazioni, prodotti strutturati e derivati) i quali rischierebbero, per effetto della caduta delle quotazioni e la contrazione della liquidità, di compromettere la stabilità finanziaria dei loro bilanci ed anche quella di altri intermediari finanziari (hedge fund, assicurazioni) verso le quali le banche sono esposte, con effetti depressivi a catena su tutto il mercato finanziario.
Sarebbe questa la ragione dell’aggettivo “illimitati”?
In realtà la triangolazione gira su di un registro più sofisticato. Entrano in scena altre entità ed organismi e i giri di denaro contro lettera sono più mascherati. Ma va tenuto conto che ci sono vincoli e condizionalità esogene anche per la Fed. Quindi non proprio “illimitati”. Neanche la potenza egemone è libera di muoversi a suo piacimento nel mercato globale inondandolo di liquidità, se vuole – come vuole – conservare la centralità sistemica del dollaro.
Ma questo sarebbe un limite anche per gli interventi per l’economia reale: si tratta in fin dei conti di un riacquisto di titoli di Stato per 2.200 mld di dollari, non molto diverso dalle cifre messe potenzialmente in campo dalla Bce a questo fine. O no?
Sì, ma la partita di giro Usa può essere ripetuta. Probabilmente lo sarà. L’acquisto dei QE è illimitato anche per i titoli di Stato. Si può ripetere. Ovviamente non è ripetibile all’infinito. Il limite è probabilmente quello indicato da Conte del 13% del Pil Usa, di poco inferiore a quello Ue. Altri ordini di grandezza.
Il presidente del Consiglio ha fatto riferimento anche a quello che sta facendo la Cina. Cosa possiamo dire?
Dai lanci di agenzia di questi ultimi giorni abbiamo appreso che la Banca centrale della Cina ha lanciato una operazione “Repo” su vasta scala. Repo, in gergo finanziario inglese, è un acronimo per quello che da noi si chiama “pronti contro termine”. Questo significa dunque che la Bank of China (BoC) sta iniettando liquidità nel sistema bancario cinese in cambio di un impegno da parte delle banche, che ricevono i prestiti, a restituirli, anche se, va detto, non proprio “a termine”.
In che senso non sarebbero a termine?
Il “pronto contro termine”, nella nostra prassi bancaria, è il contratto di servizi finanziari più semplice. La banca riconosce un tasso di interesse fisso al titolare di un conto corrente commisurato al periodo e all’importo del capitale che lo stesso lascerà vincolato nel conto corrente. La banca al “termine” rimetterà nella disposizione del correntista il capitale con gli interessi maturati a scadenza accreditandoli sul suo conto corrente . Ma questo vale nel mercato al dettaglio.
In grande, invece?
Nel canale del credito interbancario tra banca centrale e banche del sistema il contratto “Repo” può essere a scadenza indeterminata, “open” cioè aperta. Ed è da presumere che così siano in effetti i contratti “Repo” della BoC. In questo modo la banca centrale cinese fornisce liquidità alle banche generando moneta ad hoc nella misura richiesta dal sistema, senza pretendere dalle stesse banche un impegno a data certa per la restituzione del prestito.
Non potrebbe essere qualcosa di paragonabile alle aperture di credito della Bce anche a tassi di interesse negativi alle banche dell’eurosistema?
Non proprio. Anche gli interventi non convenzionali della Bce per il momento sembrano a termine, anche quelli cosiddetti longer term. Ma il punto non è quello della disponibilità di un’adeguata liquidità da parte delle banche dell’eurosistema, un intervento assicurato anche negli anni passati con Qe e altre forme di trasferimento tramite il canale del credito.
Allora qual è il problema?
Il problema è per noi quello di fare arrivare i trasferimenti all’economia reale alle imprese e alle famiglie senza passare per il giro del debito pubblico, che scaricherebbe sulle finanze debilitate di vari Stati tra cui il nostro un ulteriore, forse intollerabile, fardello.
Trasferimenti all’economia reale: perché è sempre questo il punto critico?
Torniamo alla Cina per spiegarci meglio. La BoC fornisce liquidità alle banche generando moneta ad hoc senza pretendere dalle stesse banche un impegno a data certa per la restituzione del prestito. Non male – verrebbe da dire – per chi prende i soldi. Ovvio che grazie a questo strumento la capacità di resilienza del sistema bancario cinese è fortemente sostenuta. Ma non solo. È altrettanto ovvio supporre che la banca centrale richieda alle banche beneficiarie qualcosa in cambio del “simpatico regalo” – come direbbe Stiglitz. Questo qualcosa nella situazione attuale è, in poche parole, non fare mancare la liquidità al sistema produttivo del paese.
A questo punto?
In Cina quest’indicazione, più che “moral suasion”, è un ordine. Tenere aperte le linee di credito nei confronti delle imprese cinesi in difficoltà, scontando fatture inevase (commercial paper), rinnovando prestiti o concedendone di nuovi senza troppo attenzione al “merito del credito” del richiedente – cioè alla sua capacità di onorare l’impegno alla restituzione. Le banche nazionali cinesi, che sono già le più capitalizzate del pianeta, possono muoversi a 360 gradi nel mercato finanziario e azionario, nell’acquisto di partecipazioni, nell’emissione di obbligazioni e soprattutto nel credito all’economia reale, aprendo o irrobustendo linee di credito – anche in dollari dato il surplus commerciale cinese – a favore in particolare delle imprese esportatrici, in presenza di un calo della domanda estera, lasciandone integra la capacità di penetrazione nel mercato globale, sia commerciale che finanziario, con acquisti di asset strategici già in corso dai – e nei – paesi in difficoltà finanziarie.
Dunque si prospetta un percorso veramente in salita per l’eurozona.
Torniamo alle dichiarazioni di Conte. Non abbiamo la possibilità di fare in continuità e scioltezza il gioco di sponda tra Fed, banche americane e Tesoro Usa. Manca l’ovvio presupposto di una Unione federale degli Stati europei. Non possiamo utilizzare i Repo come la Cina, con la BoC che dà direttive ai vertici delle banche nazionali. Non siamo in condizioni di fare gioco di squadra. Siamo, lo si era già visto nella crisi finanziaria del 2009, il tipico vaso di coccio tra vasi di ferro, ma possiamo cercare di evitare che nelle attuali turbolenze si rompa.
E come si può fare, dopo tutto quello che ha descritto?
Le misure prese con l’urgenza creano debito e hanno un limite operativo nella resilienza delle finanze statali, già piuttosto stressate. Vanno più o meno bene quelle adottate. Non è il caso comunque di attivare un dibattito retrospettivo a somma zero. Sono comunque palesemente insufficienti e non possono essere facilmente reiterate in modo da assicurare all’eurozona, nel suo insieme, risorse liquide lontanamente comparabili a quelle dei competitor e per la stessa durata. Solo la Bce può generare la liquidità necessaria nell’ordine di grandezza indicato da Conte.
D’accordo, ma come?
Gli strumenti necessari si dovrebbero trovare in modo incrementale attraverso un ampliamento dell’operatività delle varie linee di credito non convenzionali (Omt) già in essere da parte della Bce, facendo in modo però che i trasferimenti tracimino effettivamente “ad imprese e famiglie”, come è negli auspici anche del board Bce.
Ma ci sono segnali in questo senso?
L’altro ieri la Bce ha mosso un primo, timido passo in questa direzione ampliando la tipologia dei titoli accettati come collaterali a garanzia di trasferimenti alle banche. Questa è la strada da battere ulteriormente.
In una precedente occasione aveva ipotizzato l’accettazione come collaterali sia di titoli derivati da prestiti alle imprese incagliati nei bilanci delle banche, sia dalla cartolarizzazione da parte delle stesse dei debiti di imposta delle imprese verso il fisco cui le banche si surrogherebbero nel pagamento. È ancora dello stesso avviso?
Si tratta di strumenti finanziari che ritirerebbero titoli derivanti dall’economia reale in modo da trasferire immediatamente alla stessa una consistente e persistente liquidità. Un working concept, ovviamente, da strutturare, migliorare, modificare, sul piano delle tecnicalità. Si potrebbero immaginare ovviamente anche altri strumenti con la stessa finalità. Ma, a questo punto, dovrebbero entrare in azione, auspicabilmente, le officine dell’ingegneria finanziaria delle Bce e delle altre banche centrali dell’eurosistema.
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