Di pensare e parlare schietto, oltre che forbito, Michel Onfray l’ha sempre fatto e non si smentisce neanche nella più grave crisi pandemica degli ultimi decenni: dopo aver rischiato di prendere il coronavirus mentre con la moglie si trovava in Martinica, il filosofo francese è riuscito a far rientro in patria e rilasciare ieri una bella e lunga intervista a La Stampa sul momento drammatico che l’Europa sta attraversando. «Il confinamento non può essere pensato come un’idea platonica, del tipo “confinamento oggettivo”, ma solo come un confinamento soggettivo. Tutto dipende dal luogo dove avviene: vasto o esiguo, gradevole o austero, in buona o cattiva compagnia, soli o circondati da amici veri, in mezzo alla natura o in un palazzone di case popolari», spiega il pensatore che solo qualche anno fa aveva in maniera “profetica” enunciato così «con la civiltà del rock e dei fumetti, dell’aborto e del divorzio non si sopravvive nel conflitto di civiltà incipiente perché nessuno è disposto a morire per un iPhone». Per Onfray il problema dunque non è trovare un modo per rendere la gente “tranquilla” in questo momento di grande crisi, piuttosto di evitare che quando si entrerà nella fase 2 possano esplodere tensioni sociali altissime.



LA “PROFEZIA” DEL FILOSOFO

«La natura umana è quella che è. Gli uomini non vivranno domani d’amore e d’ acqua fresca: né più, né meno di prima. Per favore, leggete o rileggete La Fontaine per capire quali sono le caratteristiche invariabili della natura umana», invita alla riflessione ancora Michel Onfray, considerando che con il ritorno alla vita “normale” «non sarà per realizzare la felicità sulla Terra! Non si confinano delle persone in gabbie come animali per settimane senza che, il giorno in cui si aprono, si liberino, insieme all’ amore, pure passioni tristi e risentimento». Diversi pensatori hanno commentato questa particolarissima fase storica come una possibilità per riscoprire il vecchio valore dell’otium enunciato dagli antichi romani e da diversi altri filosofi anche in età moderna. Bene, per Onfray vale l’esatto opposto: «Non credo proprio. L’otium era il privilegio di gente ricca, che non lavorava e aveva a disposizione schiavi e domestici. Alla fine sarà la gente più modesta a pagare la fattura di questo confinamento e coloro che già gioiscono del proprio otium contemporaneo continueranno a farlo. Non ci sarà una democratizzazione dell’otium ma una radicalizzazione della lotta di classe».

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