2.281 i casi confermati, 48 i decessi, 105 persone in terapia intensiva. Non siamo in Italia 9 giorni fa, ma in Francia. Oltralpe la situazione oscilla tra mancata percezione del rischio, accuse all’Italia, sporadiche fiammate di panico determinate dai contagi di coronavirus, spiega Francesco De Remigis, già corrispondente del Giornale da Parigi e autore per varie testate. Stasera Macron parlerà alla Francia, segno che dietro le apparenze si teme che l’infezione possa sfuggire di mano. Ma c’è un elemento che impedisce di suonare l’allarme, trasformando l’epidemia in un azzardo: le elezioni comunali di domenica 15 e domenica 22 marzo, importantissime per la tenuta di En Marche.



“In attesa di capire cosa dirà Macron – dice al Sussidiario De Remigis – i dati raccolti dall’University College di Londra evidenziano che la Francia sia soltanto 9 giorni indietro rispetto al vissuto italiano. La portavoce del governo francese ha invece avanzato per la prima volta qualche critica ai primi provvedimenti di Conte sul coronavirus. Sembra che il governo francese non stia cogliendo l’analogia e la portata dei contagi. Sui social molti francesi cominciano a chiedere: Cosa sta facendo la Francia?”.



Partiamo dagli ultimi numeri: 2.281 casi confermati, 48 decessi, 105 pazienti in terapia intensiva. È l’Italia dei primi giorni di marzo?

La situazione è molto simile a quella che abbiamo visto nel nostro Paese all’inizio dell’epidemia. Però non sappiamo se la crisi che c’è adesso in Italia sia quella che la Francia dovrà affrontare nei prossimi giorni.

Che cosa divide i due scenari?

Un noto virologo di Lione come Bruno Lina, per esempio, pensa che la Francia non si troverà a dover scegliere chi curare e chi no, com’è stato palesato in Italia. Sono state fatte scelte differenti, anche grazie all’esperienza italiana da cui Macron sta attingendo a piene mani: ciò che inizialmente non ha funzionato a Roma non è stato bissato Oltralpe. Innanzitutto dal punto di vista della comunicazione.



L’Italia è però ancora l’untore d’Europa.

Macron dice “l’unione fa la forza” e ha criticato aspramente la scelta slovena di chiudere la frontiera e quella austriaca di inasprire i controlli per chi arriva dall’Italia. Ha parlato di “cattive decisioni”. Resta irrisolta invece la questione mediatica, anzi continua ad essere un problema.

Perché, cosa succede?

BfmTv ha appena ospitato in studio un dibattito intitolato “l’Italia può contagiare l’Europa?” – così recitava il fascione in bella vista per quasi mezz’ora –, indicando il Belpaese come unica area di origine europea del covid-19, mentre focolai isolati sono stati ampiamente rilevati altrove, dalla Germania alla stessa Francia, per esempio nell’Oise a 45 minuti da Parigi.

Cioè manca una percezione della possibile gravità del virus?

Assolutamente. C’è ancora chi dichiara su quotidiani nazionali di rilievo che sia poco più di un’influenza. E il direttore generale della Sanità ieri ha spiegato che in fondo il 98% dei contagiati guariscono.

E per quanto riguarda le misure adottate?

Si è cercato di geolocalizzare il rischio, mettendo in quarantena due focolai inizialmente piccoli che si sono via via ingrossati. Il primo è appunto quello di Creil, poco più grande di Codogno, tra Parigi e Amiens, con una decina di casi. Qui con il passare dei giorni la situazione si è aggravata. Il secondo focolaio è nell’Alto Reno e poi c’è la Corsica. Ma i casi sono ormai in tutte le regioni, anche se Macron ripete che “l’epidemia non è la stessa in tutti i territori di Francia”.

Come si è evoluta la situazione?

Con il passare dei giorni è parso chiaro che c’erano contagiati tra coloro che rientravano dall’Italia e nella stessa Francia. Queste persone sono state messe in quarantena volontaria ma non è bastato. Sono così entrati nella seconda delle tre fasi stabilite dal governo per gestire l’emergenza, cioè quella delle raccomandazioni che puntano a “rallentare la diffusione del virus”. Di fatto identica a quella attuata in Italia fino a pochi giorni fa, che abbiamo visto non essere stata proprio efficace.

Cioè fino a prima dell’estensione a tutto il paese della cosiddetta “zona protetta”. E dopo?

Si andrebbe verso una terza fase in cui Macron ipotizza, senza esternarlo e senza far circolare bozze, le stesse misure prese in Italia. Inizialmente sono stati lasciati a casa da scuola poco più di 10mila bambini, per complessive 13-14 regioni. Lunedì si è passati a 300mila alunni in tutta la Francia. Però i contagi aumentano, continuano a crescere nell’ordine di 100-150 al giorno. C’è da dire che a differenza dell’Italia, la Francia ha un problema in più.

Il voto di domenica?

Precisamente. Si vota domenica 15 e domenica 22 marzo per il rinnovo dei consigli municipali di circa 35mila comuni in tutta la Francia. È un voto importantissimo.

Lo sarà ancor di più con il coronavirus?

Sì, perché diventa una prova per la tenuta del governo e la sua capacità politica di gestire l’emergenza. Non è in questione tanto Macron come personalità politica, ma il suo partito sì. Il premier Edouard Philippe deve dimostrare questa settimana di contenere il diffondersi del virus, ed è l’incognita più grande; e poi di mantenere la promessa del governo che le elezioni si sarebbero tenute nella massima serenità.

Ci sta riuscendo?

È stata rivelata una lettera del premier Philippe a 36mila sindaci contenente una serie di raccomandazioni, non solo riguardanti i baci di saluto e le strette di mano, da evitare, ma misure più stringenti. Ad ogni seggio ci dovranno essere disinfettanti all’ingresso e precise distanze da rispettare. Si chiede anche ai presidenti di seggio di mostrare discernimento verso i volti coperti da eventuali mascherine e questo pone anche un problema di sicurezza. Non è un tema da poco, considerato quanto la Francia sia ancora oggi esposta al rischio di attacchi terroristici.

Ma è una situazione ordinata.

Sì, per quanto riguarda la tranquillità ostentata dal governo nell’emergenza nonostante un ministro positivo al test e il capo di gabinetto di Macron in quarantena. Molto meno dal punto di vista sociale. Nel 15esimo Arrondissement di Parigi un bambino di 8 anni è risultato positivo al test e la classe è piombata nel panico. È il primo evento di questo tipo nella capitale. Tutti a casa fino al 17 marzo, ma basterà una raccomandazione? Le altre classi non hanno subìto nessun provvedimento. Ma intanto a Parigi i casi positivi sono diventati 44.

Ci risulta che non sono stati presi provvedimenti di chiusura di locali pubblici, divieto di assembramento e altre misure specifiche. È così?

La quotidianità non è cambiata, i giovani affollano ancora i tavolini dei bar. E soprattutto le discoteche: a Parigi, per esempio, quasi tutti gli eventi del fine settimana sono confermati grazie al divieto di assembramenti da mille persone in su, altro che aperitivi. Questo perché non siamo ancora a un livello critico e manca la percezione del fenomeno potenzialmente mortale per molti.

Quindi niente panico.

Non sono mancate scene di caccia ai disinfettanti nei supermercati e nelle farmacie. Macron ha preso la situazione in tempo, anche grazie al precedente italiano, ed è stato perentorio, fissando a 3 euro il prezzo di vendita dei gel disinfettanti in confezione da 100 ml e requisendo le mascherine centralizzandone la distribuzione sulla base delle reali esigenze. Ma c’è un fatto che forse più di tutti gli altri fa temere un’evoluzione peggiore di quella italiana.

Quale?

È legato ai saluti, all’abitudine di salutarsi con tre baci sulla guancia e alla stretta di mano in ufficio. Un sondaggio pubblicato a inizio settimana dice che il 91% dei francesi continua a baciare gli amici sulla guancia e il 75% continua a stringere la mano al lavoro.

E dal punto di vista economico?

Decine di aziende francesi sono già attrezzate per il telelavoro, forti dell’esperienza vissuta nei mesi di sciopero dei trasporti a dicembre e gennaio. Ma qualche zerovirgola di Pil sarà inevitabilmente perso anche Oltralpe.

Se la situazione dovesse peggiorare?

Sarà difficile far rispettare ai francesi alcuni protocolli. Come agire, con le raccomandazioni o la chiusura? Il problema non c’è ancora, ma si profila all’orizzonte. Macron invita alla “responsabilità”, a proteggere noi stessi e gli altri. Quando si hanno sintomi, a non uscire di casa, non andare a lavorare, non prendere i mezzi pubblici.

Il coronavirus sarà l’occasione propizia per altri provvedimenti d’imperio, destinati a cambiare la vita della Francia?

Non lo sappiamo. Ma davanti a un’emergenza che non è ancora avvertita come importante e mortale, se il governo dovesse prendere qualche decisione drastica, dovrà spiegare perché. 

Cosa si rischia?

Scene italiane. I servizi ospedalieri in tutto il paese vengono già riorganizzati per far fronte all’arrivo di nuovi pazienti colpiti dall’epidemia di covid-19. All’ospedale Tenon di Parigi, una speciale segnaletica a terra guida i pazienti infetti in un padiglione dedicato al coronavirus. Ad Avicenne (Seine-Saint-Denis) e Henri-Mondor (Val-de-Marne) sono stati allestiti centri di screening in tendoni all’aperto molto simili a quelli italiani. Al CHU Pellegrin, a Bordeaux, due reparti di 20 letti ciascuna sono pronti per essere “armati”, dicono in gergo. Quanto alle case di riposo per esempio a Lione limitano le visite a una al giorno per paziente, indipendentemente dalla patologia.

Un voto così importante come quello delle comunali ha indotto Macron e Philippe a derubricare l’emergenza sanitaria?

Purtroppo sì. Il governo non può permettersi di rinviare il voto: non si dimostrerebbe all’altezza dell’emergenza. In secondo luogo, Macron rischia moltissimo. Potrebbe non conquistare nemmeno una città in tutta la Francia.

Se Macron perde, chi vince?

Vincono tutti. Se Macron perde, nello scenario politico francese ritornano tutti i partiti storici, gaullisti e socialisti, che ne sono stati esclusi da En Marche e Macron.

Anche a Parigi?

Soprattutto a Parigi. Se vince la candidata socialista Anne Hidalgo, sindaco uscente, con seconda – o prima, davanti a lei – la gaullista Rachida Dati, e la candidata di En Marche Agnes Buzyn terza o quarta, per Macron, il “presidente di tutti”, sarebbe una sconfitta di portata nazionale.

Ci sarebbero contraccolpi sul governo Philippe?

I contraccolpi credo che il governo potrebbe averli in caso di crisi sanitaria. A livello nazionale, il direttore generale della Salute Jérôme Salomon ha dichiarato martedì che la Francia conta 5mila letti di terapia intensiva. Dice che la “flessibilità francese” consente di adattare l’offerta di posti di rianimazione a seconda del territorio. Molto è legato alla riuscita di questo piano.

E in Parlamento, tutto tranquillo per Macron?

In realtà il suo partito En Marche rischia di perdere la maggioranza assoluta di 289 deputati che detiene da solo nell’emiciclo. Dall’episodio del ricorso al 49-3 (cioè qualcosa di simile alla nostra fiducia parlamentare), a cui l’esecutivo si è appellato per eludere il voto sulla riforma delle pensioni, le partenze dal gruppo LREM si sono moltiplicate. Al punto che alcuni eletti della maggioranza ritengono “inevitabile” la costituzione di un nono gruppo in Assemblea nazionale. Ne bastano 15 per costituire un gruppo al Palais-Bourbon.

(Federico Ferraù)

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