Dopo il calo di domenica, anche ieri per il secondo giorno di fila il “bollettino di guerra” dal fronte contro la diffusione del coronavirus ha portato notizie positive: scende ancora il numero dei contagiati e dei decessi. Anche in Lombardia, epicentro dell’epidemia, la morsa del Covid-19 si è un po’ allentata, compreso il focolaio straziante di Bergamo, ma non a Brescia, dove la situazione è ancora in peggioramento. In base all’ultimo aggiornamento della Protezione civile, il totale dei casi in Italia sfiora quota 64mila (63.927), mentre i malati superano la soglia dei 50mila (50.418), con un aumento rispetto al giorno precedente di 3.780 contagiati (e domenica l’incremento era stato di 3.957). I decessi salgono a 6.077 (+602 contro i 651 di domenica) e le persone guarite sono 7.432, 408 in più di ieri. “Non mi sento di sbilanciarmi – ha dichiarato Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss -, anche perché oggi vediamo gli effetti di quel che è avvenuto due settimane fa”. Le misure adottate funzionano? Come vanno interpretati questi numeri? Quando si potrà parlare di trend in calo? Con il virologo Fabrizio Pregliasco abbiamo fatto il punto sui trend del contagio, i possibili nuovi fronti, il nodo della carenza dei dispositivi sanitari e le prospettive su vaccino e cure efficaci, a partire dall’Avigan, il farmaco prodotto in Giappone e di cui l’Aifa ha autorizzato la sperimentazione.
Secondo calo consecutivo di contagiati e decessi. Tiriamo solo un sospiro di sollievo o qualcosa di più?
Questi dati ci confermano quanto è importante continuare a ingoiare questa medicina amara delle restrizioni.
Che impatto hanno questi due giorni con numeri in calo sulla curva epidemiologica? Quante conferme abbiamo bisogno per capire se c’è inversione di trend?
Il problema è che questa è un’onda, non abbiamo un unico picco, ma una sommatoria di tanti picchi: abbiamo situazioni in netto miglioramento, per esempio a Lodi, situazioni in miglioramento, come Bergamo, o situazioni che potrebbero ancora vedere la curva dei contagi salire verso l’alto.
Per il presidente dell’Iss, Brusaferro, questa è la settimana decisiva. Potremmo vedere il famoso picco?
Se si lasciano le cose come sono, il picco sarà come una montagna, una curva gaussiana molto alta. Noi vogliamo far sì che questa montagna diventi una collina, proprio per evitare di dover affrontare una rampa troppo ripida.
E stiamo spianando la montagna perché diventi collina?
Penso proprio di sì.
In effetti anche in Lombardia è stata complessivamente una giornata positiva, la prima dall’inizio dell’epidemia. Fa ben sperare?
L’evoluzione va tenuta ancora sotto osservazione, perché parliamo di casi che sono nati una decina-dozzina di giorni fa. Dobbiamo avere una conferma continua, anche perché le diagnosi confluiscono ancora non in maniera ordinata, ci sono ritardi, sovrapposizioni. Dobbiamo aspettare qualche giorno. Il dato giornaliero è indicativo, ma non dà certezze.
A Milano i contagi sono sotto controllo. Il cluster di Milano fa ancora paura?
A Milano fortunatamente siamo belli fermi. Ma è una bomba biologica che non deve assolutamente scoppiare.
E in Veneto?
Il contenimento sta procedendo bene.
Siccome gli esodi dal Nord stanno continuando, il timore è che al Sud possa prima o poi verificarsi un irripidimento delle curve epidemiologiche? L’allerta resta alto?
Sicuramente. Evitare la stessa circolazione che si è verificata al Nord è una sfida che non si può perdere.
A proposito di nuove sfide, Brusaferro ha detto che adesso bisogna cercare di impedire a positivi e sospetti di contagiare altre persone. Come si può fare?
I tamponi possono essere utili, ma non bastano. Bisogna essere responsabili, soprattutto è importante che le persone con una sintomatologia prestino la massima attenzione e dedichino ogni cautela a non contagiare gli altri.
Colpisce però il fatto che in Italia molti medici e infermieri siano stati contagiati, in una percentuale doppia rispetto alla Cina. E’ un segnale preoccupante che evidenzia come la macchina dell’approvvigionamento di materiali sanitari non stia funzionando a dovere?
Dispositivi e materiali sono fondamentali in questa battaglia contro il coronavirus. Ma va detto che il primo impatto dell’epidemia è stato molto pesante. Abbiamo notato una diffusione molto ampia fin dalla prima fase, forse non ci siamo subito resi conto della sua rilevanza. Ma ora stiamo prendendo le contromisure, grazie anche a una maggiore disponibilità di dispositivi e materiali che prima non avevamo.
Infatti stanno arrivando aiuti dall’estero, come in queste ore anche dalla Russia. Bastano per coprire i fabbisogni?
Sono di grande aiuto. Senza dimenticare che questa cooperazione offre la possibilità di scambiarsi informazioni scientifiche utili, come avviene con i medici cinesi.
Nella corsa a un possibile vaccino la Cina sembra essere in testa: qualche giorno fa i cinesi hanno annunciato che entro aprile potrebbero averlo. C’è da crederci?
L’annuncio è una cosa, poi per arrivarci ci vogliono minimo sei mesi, un anno. Tanti paesi dicono di voler accelerare, ma i tempi per arrivare a produzione e industrializzazione su larga scala sono lunghi. Non possiamo sperare che il vaccino sia pronto dopodomani, risolvendoci il problema.
Sul fronte delle cure ieri è arrivata la notizia che l’Aifa ha autorizzato la sperimentazione sull’Avigan per poter valutare l’impatto del farmaco giapponese nelle fasi iniziali della malattia. Veneto e Piemonte sono già pronte a testarlo. Che ne pensa?
Premesso che la stessa azienda giapponese in una nota ha dichiarato che al momento “non esistono prove scientifiche cliniche pubbliche che dimostrino l’efficacia e la sicurezza di Avigan contro Covid-19”, questo farmaco è già utilizzato in Giappone contro l’influenza, lo conosciamo già. Ma è sbagliato, a mio avviso, illudere i pazienti su una cura che avrà bisogno di mesi per essere testata e resa eventualmente disponibile.
(Marco Biscella)