I social davanti alla possibilità di un crollo delle piattaforme. Da Facebook a Instagram e soprattutto WhatsApp che permette video chiamate dove ci si può guardare in faccia, sono a rischio. L’uso spropositato che se ne sta facendo in questo periodo di emergenza coronavirus infatti, che ci costringe in casa in isolamento, li porta ad avere problemi di “resistenza”. La Commissione europea ha invitato a ridurre la quantità di streaming per contenere il sovraccarico, anche perché le strutture sanitarie ne hanno ampio bisogno.



Google, YouTube, Netflix e Amazon hanno accettato l’invito di abbassare la qualità di trasmissione dei contenuti dei siti. Ma che succederebbe se la gente, oltre alla quarantena, fosse privata anche di questa valvola di sfogo?

Lo abbiamo chiesto a Paolo Crepet, psicologo ed esperto di comunicazione, autore tra gli altri del libro “Baciami senza rete” (Mondadori, 2006) dove dibatte l’evoluzione antropologica della razza umana, soprattutto dei cosiddetti nativi digitali, sottolineando contraddizioni ed effetti collaterali di un mondo che si presenta come una strabiliante e inattesa mutazione dove ci si connette “senza pensiero e senza dubbio”. “Da persona scettica sulla realtà dei social, dico che in questo periodo storico di isolamento, di situazioni difficili come chi è costretto a convivere in pochi metri quadri con una intera famiglia, i social svolgono oggi una funzione importante. E non è un caso che i contenuti, dalle tantissime sciocchezze che si comunicavano prima dell’emergenza, siano oggi molto più seri e utili a tutti. Questo sta accadendo anche nei media”.



Internet è in crisi, c’è il rischio che i social debbano ridurre o addirittura sospendere le attività. Che conseguenza potrebbe avere un evento del genere?

Detto da uno che ha sempre sostenuto l’uso superficiale e disumanizzante dei social, posizione che mantengo anche adesso come mia opinione personale, capisco che in questo momento la situazione è cambiata. Non possiamo dire a persone che sono rinchiuse in casa da un mese e chissà fino a quando, magari in piccoli appartamenti e in situazioni difficili, che devono astenersi dall’usarli. Un social in questo momento svolge la funzione di uno sfogo, ci si telefona fra amici, insomma è quasi l’unica cosa che ci resta per essere in contatto quando tutto il resto è proibito. Detto questo, anche in questo momento i social non possono sostituire le relazioni umane.



In che senso?

In questo momento io e lei stiamo parlando grazie alla tecnologia, ma non sostituirà mai quel che significa parlarci faccia a faccia, osservando il comportamento umano, interagendo, anche toccandoci. Teniamo bene a mente che questo approccio fisico non lo possiamo togliere dal vocabolario del comportamento umano una volta passata la pestilenza, altrimenti ci ridurremo a un mondo popolato da marziani.

Sicuramente i social in questo periodo sono fondamentali ad esempio per chi ha dei genitori che vivono lontani, magari anziani. Forse vale la pena invitare le persone a usarli con moderazione evitando le tante banalità di cui sono pieni anche adesso?

Credo che se si potesse fare una ricerca su qual era il contenuto della comunicazione social sei mesi fa rispetto ad adesso, allora il numero delle sciocchezze e delle cose non essenziali era il 97% del totale. Il 3% usava i social per comunicazioni davvero importanti. Tutto il resto era la ricetta del piatto di maccheroni oppure i fidanzati che si mandavano dei baci. Adesso secondo me abbiamo un utilizzo tra virgolette serioso dei social. Far vedere al nonno la nipotina che non vede da un mese è una cosa psicologicamente utile, quasi una terapia. Questo non si discute.

Eppure anche oggi abbondano le fake news…

Le fake news sono un fenomeno che prima dei social non conoscevamo, è una componente della personalità umana narcisistica, di chi cerca di ottenere i cosiddetti tre minuti di notorietà al costo di dire cose assurde. C’è una componente di persone che si sentono qualcuno e vogliono esserlo a tutti i costi. Se dici che oggi è venerdì non diventi famoso o che la curva dei morti si è fermata, sono cose che dicono già i media. Che ci sia invece una componente che i social hanno fatto venire a galla di cinismo, sadismo e cattiveria, basti vedere il fenomeno del cyberbullismo, è invece vero. Queste componenti non le ha inventate il coronavirus, c’erano da quando ci sono i social. Credo addirittura siano leggermente diminuite mentre la componente seria è aumentata.

Forse perché ci troviamo davanti a qualcosa di così terribile che siamo tutti sgomenti. Insomma la realtà ci costringe a fare i conti con quello che succede, è così?

Sì. Un’altra cosa importante che è cambiata è che i media sono occupati finalmente da professionisti, dei quali poi si possono discutere le opinioni come è giusto che sia,  rispetto a qualunque quaquaraqua. Gente che non è neanche laureata e che aveva potere mediatico quanto chi ha studiato. Questa cosa è un po’ stata alterata a favore della serietà dell’informazione, e ha cambiato anche la comunicazione nei social.

Un esempio?

Prendiamo i novax che sono praticamente scomparsi, così come i terrapiattisti. Quelli che erano i principi degli imbecilli hanno trovato meno terreno. Vorrei chiedere a un capo dei novax, sempre se esiste, se domani ti fanno il vaccino contro il coronavirus te lo fai o no? Se mi dice di no è un caso clinico serissimo. Questa platea dove si diceva tutto e il contrario di tutto tipo che i vaccini erano inventati dalla multinazionali per sfruttarci, tutto questo sta scomparendo.

(Paolo Vites)

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori