Maschio, 81 anni e con tre o più patologie pre-esistenti. È questo l’identikit preferito dal coronavirus per colpire le sue vittime, che in media passano dal ricovero al decesso in 4 giorni. L’età media dei pazienti italiani deceduti e positivi al Covid-2019 è infatti di 81 anni, in maggioranza uomini (le donne sono poco meno del 27%) e in più di due terzi dei casi affetti da tre o più patologie preesistenti, soprattutto ipertensione e cardiopatia ischemica. I dati emergono dall’analisti di 105 pazienti italiani deceduti al 4 marzo, condotta dall’Istituto superiore di sanità. In particolare, il 42% dei decessi si è registrato nella fascia di età tra 80 e 89 anni, il 32% tra 70 e 79, l’8% tra 60 e 69, quasi il 3% tra 50 e 59 e il 14% sopra i 90 anni. Era una situazione prevedibile? “Aspettarsela no – risponde Raffaele Antonelli Incalzi, direttore del reparto di Geriatria dell’Ospedale Policlinico universitario Campus Bio-Medico di Roma e presidente della Società italiana di gerontologia e geriatria –. Finché non c’è stata l’esplosione del virus a Codogno non pensavo che potesse essere di questa entità. Il virus ha un R0 di 2,2, cioè ogni persona contagia più di due persone, quindi le misure stringenti sono necessarie”.
Ma le persone anziane non erano coperte dal vaccino influenzale?
Il vaccino non ha alcun significato in questo caso, trattandosi di un ceppo di coronavirus nuovo contro cui non esistono al momento vaccini. Che fossero o meno vaccinati è del tutto ininfluente.
Ma il vaccino non dovrebbe dare una copertura sulla genericità dei virus influenzali?
No, c’è una specificità anti-genica propria di questo coronavirus, non c’è alcuna copertura immunologica. Si spera entro l’anno di acquisirla, di avere un vaccino adatto.
Nella gran parte dei casi le vittime presentavano patologie pre-esistenti. Quanto pesano? E di quali patologie si tratta? Può influire anche il tabagismo?
Sono patologie in atto, croniche, come ipertensione, scompenso cardiaco, insufficienza renale, broncopneumopatia cronico ostruttiva (Bpco). Quanto al fumo, è un importante fattore di rischio per qualunque malattia respiratoria infettiva, perché blocca l’immunità locale. Sono tutte condizioni di rischio, essendo le malattie croniche che ho citato età-correlate, l’età diventa indirettamente un fattore di rischio, ma l’età in sé non è un fattore di rischio maggiore, se la persona è in salute.
Di fronte ai dati epidemiologici di cui finora siamo a conoscenza, è ipotizzabile che in Italia abbia attecchito il virus più aggressivo rispetto a quello più light?
In Italia ci sono molti più anziani e anziani malati rispetto a tutti i paesi in cui si è finora sviluppata la malattia. Non c’è bisogno che si propaghi il virus più aggressivo, è più debole la popolazione. Pur in presenza di un sistema sanitario eccellente, purtroppo noi potremmo avere una mortalità maggiore rispetto ad altri. Ma solo per questo: i nostri anziani sono più esposti a forme gravi.
E se il virus dovesse espandersi con nuovi focolai al Sud, i rischi sarebbero ancora più elevati rispetto a ciò che si è verificato finora al Nord?
Mediamente nel Mezzogiorno c’è un sistema sanitario meno efficiente e quindi teoricamente gli effetti potrebbero essere maggiori. Per altri versi, là dove c’è una società più portata alla dimensione rurale, e in alcune zone così è, questo di per sé può avere un certo effetto protettivo. Ma gli aspetti negativi, a partire dalla minore qualità del sistema sanitario, prevalgono su quelli positivi.
Agli over 75, e anche agli ultra65enni, è stata imposta una sorta di quarantena, di isolamento domestico, invitandoli a non uscire di casa. Ma una rarefazione o un’assenza di legami, di socialità, di compagnia potrebbe influire sull’umore e sulle difese di una persona anziana?
L’isolamento ha un senso se previene un contatto a rischio, e quindi dovrebbe essere anche un isolamento in entrata, cioè non si dovrebbero ricevere persone anche a casa. Alla fine sarebbe pesante da sostenere. Ciò non toglie che se una persona ha diverse patologie croniche è opportuno che si isoli, ma non che non esca di casa. Uscire, passeggiare, andare in un parco senza avere contatti sociali non espone al contagio ed è perfettamente compatibile con il mantenimento di un minimo di efficienza fisica e di stimolo psicologico che un isolamento vero tende invece a fiaccare.
In fatto di precauzioni anti-contagio, oltre alle norme suggerite dagli esperti a più riprese, come lavarsi frequentemente le mani, esistono consigli e accorgimenti specifici per le persone anziane?
Valgono ovviamente quelle di carattere generale. È importante però che non ci sia esposizione al freddo, perché questo facilita qualunque malattia virale aerogena, che ci sia una buona nutrizione e che in caso di presenza di malattie croniche ogni variazione dei sintomi abituali vengano tempestivamente percepite e riferite, almeno telefonicamente, al medico curante, perché nessuno esclude che i segni tipici della malattia in un organismo già malato si presentino in modo atipico, meno facilmente percepibile. Quindi serve un po’ di enterocezione, capacità di cogliere il proprio interior, e spirito critico.
Da geriatra, come immagina possa evolvere l’epidemia?
Anche in presenza di misure stringenti, un auspicabile declino delle infezioni sarà comunque lento. Purtroppo temo che fino all’estate, speriamo però con numeri più piccoli, combatteremo con questo virus.
Ma gli anziani come vivono questa emergenza coronavirus?
C’è chi dice: ma io ne ho passate tante, ho fatto la guerra, la spagnola, non sarà il coronavirus ad avere la meglio. E c’è chi invece si preoccupa. La reazione è molto variabile ed è fisiologico che sia così, anche in base al carattere di ciascuno. Complessivamente, però, direi che prevale la preoccupazione, perché c’è la percezione che siamo in presenza di qualcosa di inusuale e perché probabilmente il modo in cui le notizie vengono trasmesse travalica spesso i limiti della correttezza, completezza e serietà dell’informazione, generando una quota di ansia.
(Marco Biscella)