Nella Sala Maccari del Senato, lungo il fregio che la percorre su due lati si legge: “Osservate con diligenza le cose dei tempi passati perché fanno lume alle future: quello che è e sarà è già stato in altro tempo”. Un monito molto diretto rivolto a tutti senatori che abitualmente si ritrovano in questa bella sala, per preparare un intervento, controllare la posta, ricevere un amico o confrontarsi con un collega. È una grande sala, completamente affrescata dal Maccari alla fine dell’800, con le storie di antichi senatori, testimoni di quelle virtù della Roma repubblicana, che secondo il pittore non dovrebbero mai mancare nella vita di un Senatore della repubblica. Il riferimento alla storia è particolarmente evidente nelle parole del Guicciardini e rimanda a quell’atteggiamento di studio e di riflessione che non dovrebbe mai mancare in chi è chiamato a prendere decisioni importanti per il Paese.



Uno studio che affonda le sue radici nella storia di un Paese, nell’analogia dei fatti che accadono, sempre diversi e sempre uguali; nell’analogia delle non facili decisioni da prendere ogni volta. La vicenda del coronavirus non fa eccezioni e se fosse stata affrontata fin dall’inizio con il rigore dello storico certamente avrebbe permesso di anticipare tutta una serie di previsioni e ci avrebbe aiutato a contenere il contagio in confini molto più limitati.



Era l’8 gennaio quando sulla Stampa di Torino la professoressa Eugenia Tognotti, docente di Storia della Medicina all’Università di Sassari, esperta presso dell’Oms proprio per la gestione delle grandi epidemie e autrice di un bel testo sull’epidemia della cosiddetta Spagnola, denunciava, prima in assoluto, l’arrivo della nuova epidemia e ne evidenziava i rischi argomentandone le possibili cause. Fin dal 1500 le grandi epidemie a carattere virale sono sempre arrivate dall’Estremo Oriente e in concreto dalla Cina, perché è lì dove gli uomini vivono a più stretto contatto con animali di diverse specie, che i virus possono mutare e fare il salto dall’animale all’uomo. E nel salto la loro virulenza si accentua ai danni dell’uomo.



La promiscuità con cui in certi grandi mercati gli animali non domestici, per esempio serpenti, pipistrelli, scimmie, vivono accanto all’uomo, rende quest’ultimo particolarmente vulnerabile. La strana convivenza con animali che non rientrano tra quelli addomesticati nel lungo arco dei secoli e ai quali l’uomo si è andato progressivamente adattando, presuppone un rischio elevato per l’uomo. La mancanza di una reciproca dimestichezza rende l’uno pericoloso per l’altro e il passaggio dall’animale all’uomo mette a repentaglio la vita dell’uomo, che non possiede anticorpi specifici per fronteggiare i virus di cui è portatore e a cui invece l’animale si è andato adattando. Ecco perché è così facile che l’uomo paghi il prezzo più alto.

Senza andare troppo in là nel tempo basta ricordare la famosa influenza asiatica alla metà degli anni ‘50, con il numero sterminato di morti: oltre 2 milioni! Si trattava di un virus H2N2, isolato per la prima volta in Cina, e nel 1954 si riuscì a preparare un vaccino che riuscì a contenere l’epidemia; ma più tardi negli anni 1968-1969 il virus che aveva causato l’influenza asiatica mutò nel virus H3N2 e causò una pandemia più leggera. Più recentemente tutti ricordiamo la SARS, per citarne solo alcune. Non stupisce quindi che gli osservatori più attenti avessero colto fin dai primissimi segnali l’allarme che all’inizio la stessa Cina tendeva a sottovalutare.

Sempre sotto il profilo storico delle grandi epidemie però vale la pena ricordare l’opera di Gian Filippo Ingrassia (Regalbuto, 1510 – Palermo, 6 novembre 1580): Informatione del pestifero et contagioso morbo – Indagine epidemiologica, in cui descrive, allora!, le misure indispensabili per fronteggiare l’epidemia. Fece predisporre dal Governo della città gli investimenti necessari per fronteggiare la pubblica calamità e per la costruzione di sette lazzaretti e di due fabbricati per l’ultima “purificazione” di chi era scampato al male contagioso. Il suo intervento si concentrò anche allora sulla prevenzione, ossia sulle misure che riducono il contagio e tracciò vere e proprie linee guida: obbligo di “denuncia” della presenza di un malato da parte della famiglia o del medico; istituzione di lazzaretti con isolamento dei malati; predisposizione di un cordone sanitario; realizzazione di un regime di separazione tra sani, sospetti e malati; dimissione dei convalescenti dall’isolamento solo due mesi dopo la scomparsa della febbre; chiusura di scuole e luoghi pubblici; proibizione di visite ai malati o ai defunti; promozione della quarantena per le navi che arrivavano nel porto; uccisione di un enorme numero di animali neutralizzati con la calce; proibizione di tutti gli assembramenti.

Nell’opera si coglie l’atteggiamento umile e concreto del medico; la sua riflessione sull’errore di diagnosi ripercorre la storia della medicina e chiama in causa i suoi maestri Ippocrate e Galeno e i loro stessi errori. Insegnava che per quanto si frequentino gli scritti di Galeno e per quanto si sia “amicus Plato” e amico di Aristotele, solo la verità deve essere “amica maxima”.

Sinceramente l’attuale Governo finora non ha saputo fare di meglio! Ed è sempre la storia a ricordarci come la quarantena sia stata inventata dall’Italia ai tempi delle Repubbliche marinare, quando i marinai in arrivo dal lontano oriente non venivano fatti sbarcare se non dopo un lungo tempo di osservazione: la famosa quarantena, per evitare che contagiassero i civili. Ed è stata sempre l’Italia, nei lontani anni del Medioevo, a inventare i lazzaretti, anticipo dei moderni ospedali, per accogliere i pazienti infettivi, gli acuti, e allontanarli dal contesto della società civile. In mancanza di farmaci specifici la profilassi della separazione era allora, come ancora oggi, l’unico strumento possibile per proteggere la popolazione da quella che veniva considerata come una sorta di peste. Attenzione: non un flagello di Dio, ma una vera e propria malattia, contagiosa, da cui ci si poteva proteggere solo isolando il caso infetto.

La scienza nel Medioevo, e successivamente in epoca rinascimentale, era già costituita da tre elementi chiave: un corpo di conoscenze empiriche controllabili, una comunità di studiosi, che si confrontava positivamente, e una serie di metodologie di ricerca note come metodo scientifico. Lo sviluppo del metodo scientifico fin da allora innescò una vera e propria rivoluzione scientifica, con una sua capacità di verifica e di controllo delle ipotesi e che negli ultimi decenni è culminata in una serie di contributi essenziali per la critica della scienza.

Ma quando una malattia si propaga con il respiro umano e cammina con l’uomo, dovunque lui vada, se l’uomo è portatore del virus, anche in forma asintomatica, questo può propagarsi penetrando in tutti gli ambienti, come un killer silenzioso, colpendo preferenzialmente coloro che sono più esposti al contagio, ad esempio il personale sanitario: medici, infermieri, volontari… oppure le persone più fragili, perché affette da altre patologie, o semplicemente più anziane. Certamente ogni virus ha la sua storia, la sua sintomatologia e richiede la sua terapia, a cominciare dalla specificità del vaccino con cui si può prevenirne l’azione patogena. Abbiamo bisogno di una nuova classe di farmaci, antibiotici più potenti, a effetto antivirale, per curare i malati; ma soprattutto abbiamo bisogno di prevenire le infezioni ricorrendo in anticipo alla vaccinazione.

Ma noi veniamo da anni di tagli alla ricerca, da uno scontro drammatico con i No-Vax su cui alcuni partiti hanno costruito la loro stessa fortuna elettorale in un movimento di protesta del tutto antiscientifico. Vaccinare sembrava trasformare una prassi di straordinaria efficacia, documentata nel tempo, in una sorta di cattiva prassi verso i bambini, inventata quasi per far loro male. Come dimenticare l’aggressività con cui fu avversata la vaccinazione contro il morbillo, ipotizzando perfino che fosse causa di autismo. I dieci vaccini proposti nella legislatura precedente con un calendario scaglionato nel tempo, somministrati in condizioni di massima sicurezza, sotto stretto controllo medico, per una certa opinione pubblica sembravano simili alle dieci piaghe. E descrive tutto ciò analiticamente perché serva ad altri, se si troveranno in situazioni analoghe e possano riconoscere subito i sintomi della peste e intervenire tempestivamente ed efficacemente: che d’Egitto che un governo ostile e perverso imponeva a bambini indifesi.

Gian Filippo Ingrassia nel 1500 concludeva il suo libro dicendo: «… il che tutto habbiam voluto rivelare: accioché risulti utilità ai posteri, che in simil caso debban stare accorti, massimamante nel luoghi non assuefatti a pestilenza».

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