Dall’ultimo briefing dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) del 12 febbraio, quando erano stati comunicati 44.730 casi complessivi, si è osservato in un solo giorno un aumento di oltre 16mila casi, per poi assestarsi, fra le giornate del 13 e 14 febbraio, sul consueto tasso di crescita di circa 3mila nuovi casi al giorno.
Questo fenomeno è spiegato da una decisione del ministero della Sanità cinese per cui, nel focolaio epidemico, nell’impossibilità di gestire con diagnosi precisa grandi numeri (l’80,6% dei casi è localizzato nella provincia di Hubei), la diagnosi di Covid (malattia da coronavirus) è stata estesa a tutti i soggetti che presentano i sintomi respiratori già descritti, con evidenza di infezione polmonare documentata da Tac.
La decisione è legata all’insufficiente rifornimento di kit per la ricerca di nCoV Rna e a dubbi emergenti sulla sensibilità di tale esame dai tamponi nasofaringei, per cui molti pazienti venivano rimandati a casa senza diagnosi con il rischio di propagare l’epidemia. Questa misura, aumentando la richiesta di ricovero e di isolamento, potrebbe migliorare il contenimento dell’infezione. In effetti, dopo un’iniziale diffusione a diverse altre provincie della Cina, da oltre una settimana l’aumento della casistica era prevalentemente confinato alla provincia di Hubei.
Al 15 febbraio, la casistica ammonta a 67.091 casi, di cui 66.496 dalla Cina e 54.406 da Hubei (12.090 fuori da Hubei, confermati quindi non in aumento), 595 casi nel resto del mondo, di cui 261 nei paesi vicini (Corea, Giappone, Vietnam, Singapore, Thailandia…). I decessi sono circa 1.400, quasi tutti da Hubei.
La buona notizia è che ad aumentare sono anche i soggetti dichiarati guariti: 8.399, di cui 4.792 da Hubei e 3.519 dal resto della Cina (che fa scendere il numero di soggetti ancora non guariti nelle altre province a 8.571, quindi in calo), che potrebbero essere reclutati come donatori di siero iperimmune, almeno per le situazioni più gravi.
L’Oms insiste, sulla base dei dati attuali, a sostenere che il problema è sostanzialmente cinese, e in effetti da oltre una settimana la lista dei paesi non cinesi non si è modificata, se non con lievi aumenti di casistiche locali, soprattutto all’interno della regione (Singapore, Thailandia, Giappone, Corea del Sud). Di conseguenza non è stato consigliato di sospendere i voli dalla Cina, considerando infatti adeguate le misure di contenimento attuate dal governo cinese, né tantomeno è stata indicata la sospensione parziale dei voli da parte di singoli Stati poiché, non impedendo la circolazione tramite scali, non sarebbe comunque efficace nell’arrestare la diffusione.
Dalla settimana scorsa, inoltre, è iniziato in un ospedale di Wuhan uno studio randomizzato controllato sull’impiego del farmaco antiretrovirale Lopinavir e la responsabile operativa dell’Unità di Malattie emergenti, Maria van de Kerkhove, già dal 7 febbraio scorso, ha avvisato gli Stati membri dell’Oms di considerarsi a disposizione per partecipare a ulteriori studi sul trattamento della Covid.
L’11 e 12 febbraio, ricercatori di tutto il mondo si sono ritrovati presso la sede dell’Oms a Ginevra sotto l’egida della R&D Blueprint (Settore Ricerca e sviluppo) per valutare le sfide e le possibilità di sviluppare nuove strategie, vaccini e farmaci, condividendo i dati all’interno di una rete comune al fine di ottimizzare tutti gli sforzi.