Nella nostra società, fermamente e tenacemente attaccata all’euforia permanente ed all’attivismo del benessere, il coronavirus al suo inizio non ha affatto destato nessun timore collettivo. Solo l’insistenza mediatica sulle straordinarie misure di prevenzione adottate in Cina ci hanno progressivamente convinto circa la gravità della situazione.
La progressione è stata estremamente rapida. Di fatto arrivare a vietare tutti gli eventi caratterizzati da una partecipazione di massa – dalle partite di calcio al carnevale di Venezia – nonché l’isolare la popolazione di vaste aree geografiche come il lodigiano, danno la cifra reale dell’epidemia, tanto più inquietante quanto più suffragata, non tanto oramai dalle fake news, quanto dai silenzi e da un riserbo oramai fuori luogo, in quanto se c’è qualcosa di evidente è proprio la richiesta unanime di una comunicazione chiara e affidabile.
La malattia, per fortuna, non è letale che in pochi casi, soprattutto – almeno così sembra – quando è sommata ad altre patologie e le percentuali di guarigione sono più che rassicuranti. Pur tuttavia la capacità di contagio è estremamente elevata e l’isolamento si impone come una misura di buon senso anche se deve, necessariamente, avere proporzioni estese in quanto il coronavirus non dà sintomi tali da essere riconosciuto nel periodo di incubazione e quindi di propagazione.
Da qui un moto di diffidenza, un’attenzione inevitabile ed una precauzione doverose. Nessuno ha voglia di portare il virus a casa propria e trasmetterlo ai propri cari. Se anche lo declassassimo a poco più di una banale influenza, come qualcuno asserisce, è certamente un’influenza che se da un lato ha numeri esigui in quanto è ai suoi primi passi, dall’altro non avendo nessun vaccino per contrastarla ci lascia sostanzialmente indifesi.
Così, questo nemico invisibile e asintomatico, si iscrive nelle nostre società occidentali, sovrapponendosi e soprattutto scavalcando problemi ed emergenze già sul tappeto. L’emergenza per il coronavirus fa passare immediatamente al secondo posto i problemi di ieri e quelli dell’altro ieri, costringendoci ad osservarli da un’altra prospettiva.
Esso ci porta anche e soprattutto a ridisegnare la mappa dell’autorità.
L’autorità non si detiene, si merita. E non si merita per l’autorevolezza dell’ufficio che si ricopre, ma per la capacità di chi lo occupa di rendersi credibile. L’autorità richiede pertanto la presenza preliminare della credibilità e questa si manifesta quando il singolo o la leadership dirigente si rivelano all’altezza degli avvenimenti, individuando le competenze adeguate e sapendo accettarne i suggerimenti, dando così riassicurazioni sufficienti a chi vi fa riferimento e vi ripone la propria fiducia.
Il coronavirus sta di fatto ridisegnando la gerarchia delle credibilità istituzionali in Italia. Professioni e competenze fino a ieri lasciate solitamente nell’ombra e riservate a responsabilità di tipo meramente burocratico, sono in pochi giorni passate ad occupare, legittimamente, il proscenio. Si è trattato innanzitutto dei virologi, dei responsabili dei laboratori di ricerca, dei singoli ricercatori, ma anche dei medici e degli infermieri dei centri di eccellenza. Abbiamo così scoperto realtà come l’ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma nel quale si lavora e si opera con un rigore ed una potenzialità operativa di prim’ordine. L’emergenza in Lombardia, con l’ospedale Sacco di Milano, ci ha permesso di comprendere come il nosocomio romano non fosse affatto un caso isolato.
Sta emergendo così un’Italia fatta di rigore e di impegno, rimasta a lungo trascurata, al punto da avere personale precario con contratti a termine in quegli stessi laboratori che stanno facendo un lavoro impeccabile di ricerca ed nei quali, di fatto, confidiamo.
Accanto all’universo degli scienziati e del personale medico-sanitario stanno emergendo le figure di alcuni governatori di Regione, intesi come autorità responsabili del loro territorio, capaci di una dedizione ed un impegno ben superiori all’eventuale ruolo politico che qualcuno di essi ricopre all’interno del proprio partito di riferimento. Ma soprattutto capaci anche di assumersi delle responsabilità in prima linea, chiedendo e ottenendo la fiducia dei cittadini.
Ovviamente tanto nel primo come nel secondo gruppo possono emergere posizioni differenziate; non di meno, ciò che queste personalità affermano e ciò che concretamente fanno è diventato straordinariamente importante. Per i primi quanto per i secondi c’è il confronto con la realtà. Una realtà dai contorni incerti – la dinamica del coronavirus ci è ancora in parte ignota – che tuttavia non ha nulla di relativo, ma colpisce e contagia. La realtà, in questo caso quella biologica, detta così la sua lezione al relativismo (anche quello scientifico) nel quale siamo stati immersi da qualche decennio a questa parte e per noi si tratta solo di riconoscerla.