Il Governo sta facendo molto per sostenere le imprese che drammaticamente affrontano gli effetti economici dell’emergenza coronavirus. Fra le numerose iniziative assunte a tutela delle aziende, tuttavia, va segnalato una misura che suscita qualche perplessità benché se ne scorga facilmente la sua ratio proprio nell’esigenza di tutela della salute dei lavoratori. Accanto alle ingenti risorse stanziate dal Governo, si deve registrare una previsione che non può non allarmare gli imprenditori italiani. L’articolo 42 del decreto Cura Italia, al comma 2, prevede infatti che i lavoratori contagiati dal Covid-19 debbano automaticamente essere iscritti nel registro dell’Inail come infortunio sul lavoro.
Il Governo, in sostanza, afferma con questo provvedimento il principio generale per cui le malattie infettive contratte in circostanze lavorative sono considerate infortuni sul lavoro. Ciò evidentemente pone un primo problema in relazione al come si possa stabilire che il lavoratore sia stato contagiato sul luogo di lavoro e non fuori. Problema che invece l’automatismo introdotto dal Governo di fatto by-passa completamente, creando una sorta di presunzione che dovrebbe prevalere anche a fronte della piena adozione da parte delle imprese di tutte le cautele previste sempre dalla normativa emergenziale delle ultime settimane per il contenimento dell’epidemia, nel frattempo divenuta pandemia.
Posto che la vita umana vale più di qualunque altra cosa, appare altresì ineludibile l’attenzione nei confronti del patrimonio industriale italiano, perché la sopravvivenza in condizioni di estremo depauperamento rappresenta l’altra faccia letale della malattia. Tutela della salute della persona e tutela dell’impresa vanno tenute assieme per garantire una ripartenza al nostro paese e in quest’ottica il provvedimento di cui sopra non sembra garantire alle aziende la giusta serenità nella gestione dell’emergenza.
Inoltre, proprio il meccanismo della presunzione lascia più perplessi poiché di fatto rischia di scoraggiare la piena, attenta, costante azione di prevenzione che le aziende sono chiamate a fare, ancor di più in procinto dell’avvio della cosiddetta fase 2. Le misure sanitarie di prevenzione, di per sé giuste ma dispendiose, devono recare in sé la scriminante in capo al datore di lavoro, altrimenti il sistema rischia di saltare.
Ancora, è facile prevedere che la certificazione sostanzialmente automatica del contagio come infortunio sul lavoro aprirà un’autostrada al contenzioso dei lavoratori con l’azienda che, nei dieci anni successivi all’indennizzo Inail, resta sotto scacco, sia dal punto di vista civile, sia da quello penale. Com’è noto agli addetti ai lavori del settore, l’iscrizione al registro dell’Inail è una sorta di “bollinatura” che mette il dipendente in una condizione di forza ed è facile prevedere che nei prossimi anni fioccheranno le citazioni per danno differenziale e per danno biologico.
Sebbene poi la previsione normativa introdotta dal Governo escluda il computo dei casi di coronavirus dal meccanismo di oscillazione dei premi Inail, ciò non esclude azioni in regresso da parte dell’ente assicurativo per accertare eventuali responsabilità del datore di lavoro e non esclude neanche un aumento generalizzato dei premi dovuto al caricamento indiretto del tasso medio nazionale.
Se quindi si comprende l’intenzione del Governo volta a voler presumere che il contagio si sia verificato sul luogo di lavoro, o nell’esercizio della mansione, introducendo così una forma di ampliamento delle garanzie riconosciute ai lavoratori, va detto con chiarezza che l’introdotta presunzione è assai poco compatibile con il nostro ordinamento penale, perché rischia di determinare una forma di responsabilità oggettiva incolpevole, difficilmente superabile anche se il datore di lavoro dimostra di avere fornito i dispositivi di sicurezza individuale al lavoratore e di avere previsto che l’esercizio della mansione comportasse il dovere, e la possibilità, di rispettare la distanza di sicurezza.
Alla riferita normativa, e la connessa circolare Inail subito emanata in scia, pone qualche problema in tema di responsabilità dei datori di lavoro rispetto agli obblighi in tema di organizzazione dell’attività produttiva e predisposizione di strumenti o attrezzature, specie nella sanità.
Si è detto che questo è il tempo dell’unità, ma forse occorre anche iniziare a guardare al futuro prossimo venturo e fra i tanti orizzonti a tinte fosche si deve annoverare anche quello legato alla responsabilità di impresa, forse da ripensare prima che gli effetti a sua volta si espandano nel tessuto produttivo sano del Paese.