La distanza di 1 metro non è sufficiente per evitare il contagio da Coronavirus? Secondo le indicazioni dell’OMS sì, ma un recente studio lascia intendere che potrebbe non essere così. Lo ha effettuato Lydia Bourouiba del MIT (Massachusetts Institute of Technology) e lo ha pubblicato su Jama: non ci addentreremo troppo nei particolari scientifici ma, come ha anche riportato corriere.it nel suo speciale sulla salute, la vera novità riguarda non solo la distanza alla quale il Coronavirus potrebbe essere trasmesso ma anche la resistenza delle particelle nell’aria. La dottoressa Bourouiba ha parlato del fatto che la comprensione della trasmissione aerea di malattie come questa fa ancora riferimento ad un modello che era stato sviluppato negli anni Trenta (in particolare si era studiata la trasmissione della tubercolosi), e che adesso sarebbe troppo semplificato.



All’epoca, gli studi avevano distinto le goccioline respiratorie in grandi e piccole. Le prime, chiamate “droplets” nel suo termine inglese, si depositano più velocemente rispetto alla loro evaporazione e dunque sono in grado di contaminare le immediate vicinanze della persona infetta. Abbiamo poi le goccioline piccole, che non si depositano ma evaporano nella forma di “aerosol” o nuclei di goccioline. Ora, qual è il punto? Che anche oggi si pensa che una malattia infettiva respiratoria, come appunto il Coronavirus, sia trasmessa in prima istanza attraverso le goccioline grandi o piccole. La stessa OMS lo sostiene nei suoi sistemi di classificazione; tuttavia si tratta di classificazioni arbitrarie – grandi o piccole – che non terrebbero del tutto conto di quanto accade con le emissioni respiratorie.



Tradotto: alcune procedure, come appunto la distanza di sicurezza, per limitare il Coronavirus sarebbero inefficaci, in particolar modo negli ospedali. Il fatto, almeno così sostiene lo studio, è che starnuti, tosse ed esalazioni consistono non soltanto di goccioline a corto raggio (quelle di cui abbiamo parlato) ma anche da una nuvola di gas: la quale intrappola le goccioline trasportandole al suo interno. Si viene dunque a creare un’atmosfera che consente a suddette goccioline di durare molto più a lungo senza evaporare, perché muovendosi “in gruppo” sono maggiormente resistenti. La vita del singolo droplet sarebbe 1000 volte più lunga: minuti, e non più una frazione di secondo. Da qui, ovviamente, arrivano poi le differenze che riguardano la violenza di uno starnuto o le condizioni climatiche, ma anche la fisiologia del singolo paziente: tuttavia, con uno starnuto le particelle potrebbero arrivare anche a 7-8 metri di distanza. Ad ogni modo, uno studio cinese ha rivelato particelle di Covid-19 nei sistemi di ventilazione degli ospedali, rendendo più concreta l’ipotesi della nuvola. Che poi queste particelle che viaggiano a lunghe distanze siano infettive, questo va ancora chiarito.

Leggi anche

Covid, aumento casi variante Xec in Italia: il nuovo sintomo? Perdita di appetito e...