Sono un giornalista sportivo. La domenica è il “mio” giorno, e non è cambiato granchè rispetto al me stesso del passato: faccio questo lavoro da poco più di 8 anni ma lo sport è una delle grandi passioni della mia vita, uno dei tratti (non l’unico) ereditati da papà. Da quando scrivo di sport, e avendo la fortuna di seguirne più di uno, la mia domenica è stata scandita da orari precisi: la mattina le gare di sci (tra ottobre e marzo), magari la Primavera, poi il lunch match di Serie A e un anticipo di basket, quindi tutto il resto. Diciamolo pure: seguire lo sport per lavoro costringe a seguire un certo trend, ma se anche non mi fossi trovato a fare questa professione avrei comunque tenuto ben più di un occhio sugli eventi. Di sicuro sul calcio, certamente sul basket, assolutamente sul tennis di cui non ho mai nascosto essere viscerale appassionato (ma praticante appena più che discreto). Io, ma certo non solo io, sono stato abituato a questo: la domenica per un giornalista sportivo è LA giornata. Questo, prima che arrivasse una pandemia (perché questo è) a spazzare via ogni singola certezza: il Coronavirus ha imposto al nostro governo misure drastiche. Isolamento, divieto di affollamenti, bar chiusi ad una certa ora, messe vietate ai fedeli, sport sospeso in ogni suo ambito fino al 3 aprile. Dal nostro Paese si è rapidamente passati alle sospensioni globali, perché il virus si diffonde a macchia d’olio (purtroppo): risultato, il 15 marzo rappresenta la prima domenica senza alcun evento sportivo da seguire. Per lavoro, passione o divertimento: niente di niente.
CORONAVIRUS: UNA DOMENICA SENZA SPORT
Una domenica senza sport? Forse dovremmo tornare indietro (anche qui, purtroppo) al periodo segnato terribilmente dalla Seconda Guerra Mondiale, per trovare un precedente simile. Il punto è che il clima che si è venuto a creare potrebbe essere accostato a quello della prima metà degli anni Quaranta del Novecento: certo all’epoca (è girato anche questo, tra le miglaia di foto, meme e video sui social) quelli che sono ed erano i nostri nonni andavano al fronte, a noi è chiesto di rimanere in casa e non fare niente (si spera sempre non in maniera letterale) ma la situazione di emergenza è la stessa: c’è un nemico da combattere, e l’arma più efficace è l’isolamento. Per il me bambino, adolescente e adulto, cresciuto a pane e sport e abituato da sempre ad avere qualche evento da seguire la domenica, è strano; per il me “professionale” lo è ancora di più, perché la sospensione di qualunque disciplina in Italia ed Europa significa che viene a mancare la materia prima (che non è esattissimo, visto che il mondo dello sport si muove comunque, ma rende l’idea). Qualcuno allora dirà: “In questo momento lo sport non è la cosa più importante”, altri ne sentiranno la mancanza. Pur riconoscendomi nel secondo gruppo – non si può negare – è altrettanto sacrosanto che in un periodo difficile, e nel quale sono chiesti sacrifici a tutti, è giusto che calcio, basket, tennis e quant’altro si siano fermati: ci sono ordinanze e indicazioni da seguire e pazienza se Juventus, Milan e Inter non giocano oggi e non lo faranno per la prossima domenica (e anche quella dopo), adesso è il momento di stringere i denti tutti insieme. Anche e soprattutto in una giornata così, senza sport.