La rete ospedaliera, specialmente in Lombardia, la regione più colpita dal coronavirus, è sotto stress e potrebbe presto non essere più in grado di reggere l’urto di tanti e ininterrotti ricoveri. La situazione più grave si registra soprattutto a Cremona, come reso noto dall’assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera. Si apre, dunque, oltre alla già pesante situazione dei ricoveri causati da Covid-19, l’emergenza per tutti gli altri malati. In alcuni casi si verificano già sospensioni della chemioterapia per alcuni pazienti o il rinvio di esami cardiologici. Ne abbiamo parlato con Roberto Cauda, professore ordinario di Malattie infettive presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, il quale conferma che alcune strutture sono in difficoltà: “I pazienti pre-Covid-19 non sono automaticamente scomparsi, è ovvio, certi interventi chirurgici non urgenti sono stati rinviati, al pari di alcune altre terapie. La parte diagnostica ospedaliera può aver avuto una influenza negativa causata dal numero dei ricoveri da coronavirus”.



C’è allarme per gli ospedali, soprattutto in Lombardia. L’assessore Gallera denuncia una situazione al limite dell’insostenibilità. C’è il rischio che certe terapie, certi interventi vengano sospesi o rimandati?

Senza entrare nel merito dei singoli ospedali, in Lombardia la situazione è sicuramente piuttosto delicata. Se il primo caso di Covid-19 risale al 21 febbraio, meno di 20 giorni dopo si è registrato un aumento che conta adesso diverse migliaia di pazienti. Sulle strutture di un sistema sanitario già di eccellenza si è riversato un numero di casi tale da metterlo a durissima prova, sia per quanto riguarda i ricoveri di soggetti Covid-19 positivi o con patologia di ricovero in reparti ordinari, sia per le terapie intensive.



Cosa deve temere la gente che non è malata di coronavirus? Rischia di essere lasciata indietro?

È chiaro che la situazione, a cascata, si riversa su tutti. Questa emergenza oggettiva in qualche modo ha portato ad affrontare un numero di ricoveri esorbitante rispetto alla norma, riducendo così le attività normali. C’è stato un impatto negativo su tutti coloro che erano già ricoverati per altre patologie e si assiste al rinvio di interventi chirurgici non urgenti o di certe terapie. Ma si sta lavorando alacremente per rimediare a ogni difficoltà.

Fortunatamente si registrano centinaia di malati che guariscono dal Covid-19. Che cosa si sa di loro?



Conosciamo il numero, ma non le caratteristiche specifiche di ciascuno. Il Covid-19 è sì una malattia nuova, ma rispetta le regole generali delle malattie infettive. Dopo un periodo di incubazione, segue una fase clinica con una forma patologica nuova più o meno grave, e infine la guarigione.

Quando si può dichiarare una persona guarita?

Quando scompaiono i sintomi: tosse, febbre, infezione dei polmoni, il bersaglio più colpito. Effettuando poi due tamponi al naso a distanza di 48 ore, veniamo a sapere che la persona non ha più il virus quando entrambi risultano negativi.

Cosa succede a questo punto? Esistono casi di recidiva?

A questo punto la persona ha sviluppato gli anticorpi che lo proteggono da ulteriori contagi. Abbiamo osservato alcuni singoli casi di apparente recidiva, ma in realtà non si era verificata una guarigione completa, bensì solo un miglioramento clinico, in cui il virus era però ancora presente nelle vie aeree.

Si dice che i più a rischio siano gli anziani, ma il direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche, Giovanni Maga, ha invece dichiarato che “non ci sono fasce d’età ‘protette’ dall’infezione, tutti sono a rischio”. È così?

Alla luce dei casi pubblicati, riguardanti una parte ancora esigua degli 80mila contagi, in Cina, dove oggi l’epidemia sta rallentando e raggiungendo i minimi grazie alle misure di contenimento, emerge un’evidenza chiara: i bambini in età pediatrica hanno forme benigne e non subiscono l’evoluzione del virus. Nell’età adulta invece i maschi sono più colpiti delle donne e presentano anche forme più gravi.

Come mai?

Al momento non c’è una spiegazione. I dati italiani confermano quelli cinesi: la mortalità è più alta nelle fasce di età anziane con un aumento intorno ai 60-65 anni per poi essere ancor più elevata fra i 70enni e gli 80enni. È vero comunque che non c’è nessuna fascia che non sia a rischio, così come non c’è nessuna fascia di età dove non ci sia pericolo, eccetto appunto i bambini in età pediatrica.

Che cosa provoca i decessi? Si dispone già di un quadro clinico generale?

Non in forma definitiva. Grazie tuttavia a segnalazioni riportate dal web, che è un testimone importante di quanto avvenuto in Lombardia, e grazie all’esperienza maturata dai colleghi cinesi, sappiamo che non solo l’età avanzata è un fattore sfavorevole, perché anche la presenza di una o più patologie croniche può influenzare in senso negativo l’evoluzione del virus: i soggetti, ad esempio, che hanno il diabete, la pressione alta, malattie polmonari o cardiovascolari. In questi casi il virus può insorgere in forme più gravi e letali. Ma è anche vero che avere queste forme non vuol dire avere automaticamente forme letali.

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