La nuova epidemia di influenza da coronavirus pone una serie di problemi a livello di salute pubblica in chiave globalizzata che richiedono una profonda riflessione da parte dell’Oms, ma coinvolgono anche tutti i governi nazionali. Colpisce molto la variabilità dei toni e degli accenti che dall’annuncio dei primi casi, accaduti in una regione molto lontana dai nostri confini abituali, è andata spostandosi progressivamente verso una dimensione sempre più prossima e sempre più incalzante. E perciò stesso sempre più drammatica.



Il nuovo coronavirus di Wuhan ha causato finora 106 morti, di cui 100 nella sola provincia di Hubei: sono gli ultimi aggiornamenti forniti dalle autorità cinesi, secondo cui i nuovi casi di contagio registrati sono stati quasi 1.300. Alle 82 vittime registrate fino a lunedì si sono sommate le 24 annunciate ieri dalla Commissione sanitaria dell’Hubei, che portano il bilancio nella provincia centrale cinese da dove è partita l’epidemia a quota 100.



In aggiunta, i nuovi casi accertati sono stati 1.291, spingendo il totale su scala mondiale con il coinvolgimento di una dozzina di Paesi, da ultimo anche la Germania, oltre quota 4.000. Solo nell’Hubei i casi sono stati 2.714, di cui 2.567 trattati con il ricovero ospedaliero e 47 nel frattempo dimessi dopo le relative cure. Almeno 30 le città e le province cinesi che hanno lanciato il “livello 1” d’allerta sul responso all’emergenza del coronavirus, mentre Hong Kong ha deciso il suo “livello più alto” di risposta alla crisi.

Le autorità sanitarie statunitensi hanno alzato al massimo livello il rischio per i viaggi in Cina e l’allerta massima lanciata dai Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) arriva poche ore dopo l’appello del dipartimento di Stato Usa perché vengano evitati i viaggi nel Paese focolaio dell’epidemia.



In Europa, concretamente il 24 gennaio, in Francia, il coronavirus ha colpito tre pazienti, uno a Bordeaux e due a Parigi: tutti e tre erano stati recentemente in Cina. La Germania è invece il secondo paese in Europa ad essere colpito dal coronavirus: il paziente è stato individuato in Baviera, è stato posto sotto controllo medico e in isolamento; ma è comunque in buone condizioni mediche. In Italia finora non c’è nessun caso con diagnosi certa di influenza da coronavirus, nonostante alcuni allarmi, rientrati dopo gli opportuni accertamenti.

Fiumicino e Malpensa controllano a vista arrivi e partenze. Colpisce l’estremo livello di attenzione con cui il mondo occidentale sta seguendo il rischio epidemia, facendo in ogni singolo caso una mobilitazione di risorse che rivela più di ogni altra cosa il livello di preoccupazione concreta, attiva ed efficace.

Le iniziali informazioni sull’andamento dell’epidemia in Cina erano orientate in chiave decisamente non allarmistica, come se si trattasse di un fenomeno che sorprendeva per la mancata conoscenza dell’agente patogeno, ma che non destava particolari preoccupazioni.

Erano tre i fattori che schermavano l’informazione, banalizzandone l’impatto iniziale: paura per il turismo in entrata e in uscita; paura per i mercati e per le merci che viaggiavano tra la Cina e il resto del mondo; paura per l’immagine di un Paese, che pur nel pieno dell’epidemia si affrettava a comunicare che in 10 giorni (sic!) avrebbero costruito un ospedale per 1000 persone… Dominante quindi rispetto alla tutela della salute pubblica la preoccupazione economica e il bisogno di confermare l’identikit di un paese tecnologicamente super-evoluto.

La sensazione generale però è che l’allarme in Cina sia scattato in ritardo; che inizialmente si sia sottovalutato il rischio sia in termini di gravità: il suo carattere letale, sia in termini di velocità di diffusione. La stessa Oms, sulla scia dei dati che provenivano da quei Paesi, ha inizialmente mantenuto un livello di allarme basso e generico. Solo davanti all’esplosione esponenziale dei casi nella provincia di Hubei e alle misure prese in Europa e negli Usa, sembra che la Cina abbia deciso il rinvio sine die dell’inizio del secondo semestre per scuole e università, negli sforzi di contenere l’epidemia del coronavirus di Wuhan. Ciò nonostante il ministero dell’Educazione, con gli studenti nel pieno delle vacanze del Capodanno lunare, non ha fornito ulteriori dettagli. Le università e gli istituti scolastici dovranno rimandare l’apertura del semestre primaverile in modo adeguato e gli studenti che tornano dopo le celebrazioni del Capodanno lunare dovranno avere con sé un’apposita autorizzazione.

Ma questa epidemia richiama alla memoria di molti di noi un’altra vicenda e il ben diverso modo di gestirla.

Il tema dell’informazione tempestiva in Salute pubblica è di primaria importanza non solo in chiave di prevenzione, ma anche in termini oggettivi di efficacia dell’attività di ricerca e dell’attività di cura. In questi giorni tutte le sere, o quasi! i fatti legati alla nuova epidemia da coronavirus, comprese le misure di contenimento del rischio, sono affidate al volto sereno ed equilibrato di una scienziata italiana, Ilaria Capua, la cui vicenda resta indissolubilmente legata ai rischi, fortunatamente rientrati, di una potenziale epidemia: quella da Sars. La brevissima carriera politica di Ilaria Capua inizia nel 2013, quando viene eletta alla Camera dei Deputati nelle liste di Scelta civica. Violentemente accusata dal M5s per un presunto traffico illecito del virus dell’Aviaria, è stata poi prosciolta dall’accusa di aver diffuso ceppi di influenza aviaria per guadagnare dalla vendita dei vaccini. Una vicenda che vale la pena ripercorrere nelle linee essenziali per cogliere meglio lo stretto legame che esiste tra Informazione e salute pubblica.

Nel 2005 il Governo Berlusconi aveva acquistato 50 milioni di euro di vaccini a causa di un’emergenza: la possibile diffusione anche in Italia del virus dell’Aviaria. Ma secondo il M5s, sulla base di un esposto della magistratura, il rischio epidemia era stato fatto montare per creare un clima di allarme e giustificare il business dei vaccini. Nella vicenda, secondo i parlamentari a Cinquestelle, erano coinvolti dirigenti del ministero della Salute, manager, case farmaceutiche e ricercatori e tra questi la virologa, allora deputata di Scelta Civica, Ilaria Capua, alla quale chiesero di dare le dimissioni, dopo una campagna denigratoria pesantissima. Oggi Ilaria, tutte le sere in tv spiega come si debba affrontare il rischio epidemia da coronavirus, facendo risaltare l’importanza della prevenzione basata su dati di ricerca oggettivamente validati da uno studio serio, ma anche la responsabilità di un governo, quello Berlusconi di allora, che preferì giocare d’anticipo per evitare rischi alla salute pubblica.

Ancora oggi Ilaria Capua detta un messaggio centrato sulla necessità di sviluppare uno spirito di osservazione acuto, che non si fermi alla specifica domanda posta dalla ricerca del momento. Sollecita uno sguardo retrospettivo sulla conoscenza che dia il senso di quanta strada abbiamo percorso, ma anche sulla necessità di costruire un futuro che, dal punto di vista della salute, non può reggersi soltanto su di un ragionamento di tipo economicistico, ma esige nuovi sviluppi della scienza, della ricerca e della medicina.

Il timore che l’epidemia emergente sia stata sottovalutata in Cina per salvaguardare interessi di natura economica, rende ancor più stringente l’esigenza che un’etica della comunicazione non si faccia strumentalizzare dalla non-etica dei mercati, che rispondono a criteri di interesse di pochi a scapito dei bisogni di salute di molti. La verità, prima o poi riesce comunque a farsi strada. Alcuni, pochi anni fa, Ilaria Capua ha potuto dimostrare non solo la fondatezza delle sue teorie scientifiche e la genialità della sua intuizione sui vaccini, ma anche la sua integrità; oggi una confusa e pasticciata comunicazione sta solo creando una diffusione sempre più pericolosa del virus. Evidentemente non sempre la storia della medicina riesce a tradursi in una elezione efficace per i decisori politici, soprattutto se ci sono interessi personali in gioco, come appare chiaramente quando qualcuno avanza un bilancio dell’attuale epidemia in termini di mercato e di bilancio economico.

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