Ogni anno, dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, muoiono nel mondo di influenza tra le 250 e le 500mila persone. Nei soli Stati Uniti quest’anno nei primi quattro mesi sono decedute 16mila persone. Il coronavirus (definizione sbagliata in quanto il coronavirus esiste da sempre, siamo davanti a una sua nuova mutazione fino a oggi inedita) ha causato in Cina meno di 3mila vittime e tra i contagiati i guariti sono quasi 20mila. Eppure il panico, che si era già diffuso, adesso, dopo i primi morti e i molti infettati in Italia, sta diventando pandemico. A Milano, molto lontana dai centri di diffusione nel lodigiano e nel cremasco, i negozi di alimentari, i supermercati vengono svaligiati. Le immagini che ci giungono dalle dirette televisive di città deserte incutono timore. L’angoscia è tangibile, dilaga sui social anche perché il virus non ha un vaccino, è la prima volta che si presenta. Ma questo panico, questa paura sono giustificate? Ne abbiamo parlato  con il professor Mario Pollo, docente di pedagogia generale e sociale nella facoltà di scienze della Lumsa di Roma e professore nell’Università Pontificia Salesiana.



Si dice che le cause del panico sono esagerate da fenomeni invisibili da cui è difficile proteggersi e le minacce sconosciute provocano maggiori ansie di quelle conosciute. È così?

Sono d’accordo. Cito un esempio. Quando l’uomo nell’antichità è uscito dallo spazio protettivo della foresta pluviale e si è trovato nello spazio aperto della savana da quel momento l’orizzonte è diventato un luogo produttore di insicurezza e di terrore.



Perché?

Perché da quell’orizzonte potevano arrivare pericoli fino ad allora imprevisti e sconosciuti. Quando era nella nicchia della foresta era un mondo determinato e conosciuto. Allora è nata in lui l’angoscia, che si produce quando c’è una minaccia imprevedibile che non si può controllare. L’uomo da quel momento ha cominciato a cercare di trasformare l’angoscia in paura.

La domanda allora è: cosa è la paura?

La paura è qualcosa che si può controllare con delle tecniche apposite, mentre una minaccia sconosciuta non si può fronteggiare. L’uomo ha cominciato a dare spiegazioni all’inspiegabile per trasformare l’angoscia in paura. Questa è una immagine archetipa che indica quello che stiamo vivendo anche oggi: questo virus è nuovo, è sconosciuto, non si conoscono al momento vaccini e cure. Siamo angosciati.



Però sviluppare la paura può causare controlli e reazioni sbagliate creando nuovi disagi. Che ne pensa?

Ci sono due aspetti. Quando l’uomo primitivo si trovò di fronte al fulmine, davanti a questa minaccia che non poteva controllare, pensò che il fulmine fosse una punizione divina. Ricordo da ragazzino che si diceva nella cultura popolare che il fulmine colpiva chi bestemmiava. È chiaro che si ottengono delle risposte che non annullano il fenomeno, ma ci permettono di affrontarlo, ci danno una rassicurazione. Invece, con manzoniana memoria, si può dare la caccia all’untore: rovesciare la colpa su qualcuno diventa rassicurante, anche se è del tutto inefficace, anzi aumenta ancora il problema. Questo succede se non si hanno gli strumenti culturali. Ma se come nel caso del virus si adottano le linee guide date dalla sanità, allora io sono in grado di ridurre il rischio e la paura, posso controllarla. Ma questa è una procedura razionale che non viene seguita da tutti.

Perché?

Non tutti hanno gli strumenti culturali, anzi hanno solo quelli ideologici.

Quello che dice fa pensare alla paura dello straniero, del migrante, in questo caso del cinese i cui negozi sono deserti per paura del virus, fino all’odio razziale. È così?

Quando uno non riesce a spiegare la propria realtà, la propria condizione di minaccia, lo straniero diventa lo schermo in cui proietta tutte le sue paure attribuendo a lui tutto ciò che di negativo sta vivendo.

Il nuovo untore.

Ma anche la proiezione delle mie storture personali che vengono incarnate da lui e così io me ne libero.

Siamo sotto  a un bombardamento mediatico in questi giorni. È un aiuto oppure diffonde il panico?

Bella domanda. Sto guardando i telegiornali che non hanno praticamente altre notizie se non quelle sul virus. Ne viene una situazione ambivalente: da un lato va bene l’informazione che è necessaria, ma dall’altro aumenta il livello di ansietà perché se una cosa diventa l’unica cosa importante tutte le altre scompaiono. Questa diventa la minaccia con la M maiuscola. È una minaccia che però si può fronteggiare.

Sommando il tutto, paura dell’ignoto, caccia all’untore, assorbimento mediatico, se le persone invece avessero la capacità di guardare la realtà in quanto tale, si avrebbe un’altra reazione?

C’è sempre una esigenza educativa in tutto. Ci deve essere il pensiero di educare le persone a scoprire la propria finitudine. Siamo persone deboli che possono trasformare la debolezza in forza se la accettano ed elaborano una risposta che parte dall’accettare la debolezza. Ogni vita umana non è esente da rischi: pensare a una vita esente da rischi è l’errore. La malattia purtroppo c’è e può colpire. Oggi c’è una concezione superomista dove non accettiamo più di morire; ci è chiesto di essere persone forti che non riconoscono la propria finitezza. Per cui le malattie non dovrebbero neanche esistere, sono qualcosa di distorto che dobbiamo rifiutare.

(Paolo Vites)

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