È singolare come l’attuale pandemia di coronavirus ci impedisca innanzitutto di realizzare ciò che ci è più caro: la relazione con chi amiamo e i gesti che la accompagnano. Il suo incredibile livello di contagio è tale da richiedere una separazione radicale che non solo ci allontana dai nostri cari, ma soprattutto allontana il malato da tutti, inclusi i medici e gli infermieri. Questi è condannato a non veder più nessuno, in un progressivo precipizio verso il nulla, che lo persegue anche dopo la morte quando, per ragioni di sicurezza, non è possibile nemmeno vederlo e onorarne la salma, che viene avvolta in un lenzuolo disinfettato e immediatamente riposta nel feretro.



Nessuno avrebbe mai immaginato un tale delirio. Né avrebbe concepito, al posto della cerimonia funebre, una singolare processione notturna, fatta di camion dell’esercito che portano via decine di bare dagli obitori dei nosocomi ormai saturi. Mai un morbo era arrivato a uccidere in un modo così razionalmente malvagio, arrivando a colpire prima, durante e dopo. Mai si era arrivati dinanzi a una tale capacità di separare e dividere ciascuno dagli altri che lo amano, anche dopo che questi ha cessato di vivere.



Se il diavolo esiste, questi ha certamente la cattiveria diabolica di questo virus. Ora è tuttavia incredibile come, nonostante questa sua inaudita efficacia, Satana-coronavirus non ci abbia impedito di recuperare alcuni aspetti essenziali della nostra esistenza, rendendoceli, suo malgrado, più evidenti.

Esso, in primo luogo, ci ha permesso di cogliere in pieno la dimensione della precarietà della nostra vita sociale. Nulla è più scontato: stiamo rischiando, per la prima volta nella storia, di celebrare la Santa Pasqua online, con una benedizione Urbi et Orbi per via televisiva. Ogni progetto, anche il più umano e ordinario, è ricacciato in una sospensione temporale, ipotecando così il futuro a breve termine. L’intera nostra vita sociale è sospesa: dalla scuola al mercato, dall’azienda ai negozi, dalla casa alla chiesa.



Così, un intero mondo fino a ieri dato per scontato – spesso banalizzato e vissuto distrattamente – proprio per il fatto di essere necessariamente messo tra parentesi, ci mostra in pieno l’importanza del nostro edificio sociale, del nostro universo ordinario con i suoi appuntamenti, i suoi riti, la sua vitalità.

Se la “società euforica” del “benessere organizzato” ci aveva portato a una narcosi dello spirito che non sapeva vedere altro al di là della nostra emergente insoddisfazione, la vita ordinaria ci appare adesso come un dono; un dono di cui fruivamo senza rendercene conto, ma che adesso ci appare incredibilmente preziosa.

Privati delle relazioni, separati senza eccezioni dai nostri affetti, costretti a non salutare i nostri cari in fin di vita, scopriamo tutto lo spessore e l’importanza dei nostri rituali, dei nostri gesti di commiato, di questa nostra esistenza sociale che – finalmente ce ne rendiamo conto – non aveva alcunché di banale se non il nostro modo di osservarla, di non apprezzarla, di non prenderla sul serio.

Ma accanto a questo universo quotidiano che, messo tra parentesi, rivela tutta la sua preziosa importanza, sta emergendo la novità di un universo del bene, un volto della bontà ordinaria che non eravamo arrivati a distinguere. Gli infermieri che svengono, sfiancati dal lavoro; quelli che, colpiti dalla malattia e poi guariti, si ripresentano per tornare a lavorare nello stesso posto, nella stessa trincea dove il morbo li ha colpiti. Un intero personale sanitario che non cede ma, al contrario, lavora oltre ogni limite, in un ambiente ad alto rischio di contagio, sono l’imprevisto di un bene che non ci attendavamo.

Quanti santi, quante figure nobili in mezzo a noi! Quanta grazia, quanto onore nel potersi fregiare di averli come concittadini, come connazionali, fratelli di storia e di destino!

Così, spontaneamente, a Massa Carrara il 26 marzo, gli agenti municipali, i carabinieri, la guardia di finanza e le forze di polizia si sono schierati sull’attenti, all’uscita dei medici e degli infermieri dall’ospedale apuano (il NOA), omaggiandoli mettendosi sull’attenti, tributando loro quel riconoscimento che si riserva alle autorità. E i medici e gli infermieri autorità lo sono eccome! Autorità morali, autorità di spirito e di abnegazione!

Così, non volendo, Satana-coronavirus ha commesso l’ennesimo errore: volendoci colpire privandoci di tutto, uccidendo alcuni per terrorizzare tutti, ha fatto nascere l’imprevisto di un legame inatteso, di una fratellanza che riunisce. È incredibile come, mai come adesso in cui il morbo sta infuriando, si scopre il bene infinito ed eroico del quale gli esseri umani sono capaci.

Ed è in questo senso che il Cristo crocifisso della chiesa di San Marcello al Corso, esposto in una piazza San Pietro volutamente vuota e involontariamente battuta dalla pioggia, ci ha ricondotto tutti dinanzi a quella stessa matrice di infinito che ci portiamo dentro e dalla quale ci sentiamo di nuovo spinti ad andare avanti.

Si può non credere al miracolo del 1522 quando si narra che questo stesso crocifisso liberò Roma dalla peste. Ma non si può non credere quanto questi, maestro di vita e difensore della vita, ci stia aiutando, oggi, a riconoscere quel bene che “è più forte della morte”, quella benedizione della vita che non ha alcunché di casuale, ma è un dono, da conservare e da custodire.

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori