Una domanda serpeggia da diverse settimane nell’emergenza coronavirus: l’estate darà veramente tregua? Il covid-19 allenterà la sua morsa come tutte le malattie respiratorie, rimandando i discorsi su una possibile seconda ondata della pandemia in autunno? Le ipotesi avanzate sono state incoraggianti, ma al momento le evidenze scientifiche sembrano dire di no, o meglio, non ci sono certezze riguardo al fatto che il caldo possa “indebolire” il virus. Certo, d’estate si frequentano meno luoghi chiusi, affollati senza ricambio d’aria e questo di per sé è sempre stato un deterrente per la diffusione di influenze e raffreddori nella bella stagione. Massimo Ciccozzi, epidemiologo molecolare del Campus Biomedico, in un’intervista al Corriere della Sera invita a mantenere alta la guardia, anche se il coronavirus potrebbe mutare e diventare meno letale come per altri suoi “cugini”. Spiega Ciccozzi: “I virus si comportano da virus e, per definizione, vanno incontro a mutazioni. Il SARS-CoV-2 lo ha già fatto passando dal pipistrello a un’altra specie. Quindi prima o poi dovremmo assistere ad un’attenuazione. Fino ad allora dobbiamo proteggerci, senza avere paura.



LA RIVISTA SCIENCE: “NIENTE EVIDENZE SU EFFETTI BENEFICI DEL CALDO”

Anche perché i virus sanno bene di non potersi replicare senza infettare, dunque tendono a “calibrarsi” per non uccidere l’organismo in cui sono ospiti: “Anche questo agente infettivo non ha interesse a uccidere l’uomo, altrimenti perderebbe la possibilità di replicarsi. Gli conviene invece adattarsi all’ospite e cercare di convivere più o meno pacificamente con lui. Forse qualche compromesso potrebbe già averlo trovato. Se però adesso abbiamo la percezione del suo indebolimento è soltanto grazie agli effetti del lockdown che ne ha rallentato la circolazione.” Dunque è prematuro parlare di coronavirus in ritirata, Un articolo pubblicato sulla rivista Science da ricercatori dell’università di Princeton evidenzia come le alter temperature siano poco efficaci nel contrastare il virus se solo una piccola parte della popolazione ha raggiunto l’immunità. In Italia i primi test sierologici evidenziano come appena il 5-10% degli italiani abbia contratto la malattia, la maggioranza con sintomi lievi. I ricercatori statunitensi hanno rilevato come: “anche nelle città tropicali le cui condizioni climatiche dovrebbero ostacolare la trasmissione, la crescita dell’epidemia resta significativa“.

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