La pandemia di Coronavirus in Pakistan rischia di peggiorare la discriminazione delle minoranze religiose: questo è l’allarme lanciato dal sito specializzato The Diplomat, che segue da vicino le vicende socio-politiche dell’area Asia-Pacifico. In Pakistan vi sono dunque esempi evidenti di discriminazioni in base al credo religioso legate alla pandemia di Coronavirus: ricordiamo che il Pakistan è uno stato in netta magigoranza musulmano sunnita e la prima discriminazione è verso l’altro gruppo rilevante all’interno dell’Islam, cioè gli sciiti.



In Pakistan infatti il Coronavirius viene chiamato anche “il virus sciita”, in riferimento all’alta incidenza di casi nel vicino Iran (sciita). Non va meglio a cristiani e induisti: i primi per ricevere aiuto sono costretti a recitare i Kalima, elementi fondamentali dell’Islam, mentre a Lyari (quartiere di Karachi) sono stati segnanalti casi di aiuti negati a induisti.



Possiamo dunque affermare che in Pakistan il Coronavirus non sia tanto un problema in sé – circa 14.000 casi e poco più di 300 morti sono numeri che dimostrano una diffusione limitata in uno Stato con circa 212 milioni di abitanti – quanto per le difficoltà che crea alle minoranze già solitamente discriminate.

CORONAVIRUS PAKISTAN: “GLI AIUTI NON SONO PER GLI INDUISTI”

I pregiudizi dunque si acuiscono in momenti di crisi come quello legato alla pandemia di Coronavirus in Pakistan. Ciò si evidenzia anche sui social network, dove sono spesso di tendenza hashtag contro le minoranze religiose. Nel mirino ci sono innanzitutto le minoranze interne all’Islam stesso, come gli Ahmadiyya e soprattutto gli sciiti. La pandemia dunque non sta di certo aiutando la coesione nazionale, anzi il Coronavirus sta esasperando spesso le tensioni, anche se naturalmente non mancano anche episodi positivi, di collaborazione fra i diversi gruppi.



Resta il fatto che nel popoloso Paese asiatico non essere musulmano sunnita è un problema, e quando scoppia una crisi la situazione spesso può peggiorare. L’episodio forse più clamoroso è quello successo a Lyari, dove gli aiuti alimentari sono stati negati a molti induisti proprio per il loro credo.

Vishal Anand, leader del locale gruppo giovanile induista, ha denunciato: “Quando hanno visto la nostra carta d’identità (che in Pakistan riporta la fede religiosa, ndR), si sono rifiutati di consegnarci i pacchi, dicendo che non erano per gli induisti“. La Commissione Nazionale per la Giustizia e la Pace precisa che nessuna organizzazione impone di non aiutare le minoranze, ma ammette che molti volontari che distribuiscono gli aiuti si rifiutano di darli ai non musulmani (sunniti).

CORONAVIRUS PAKISTAN: CRISTIANI COSTRETTI A RECITARE PREGHIERE ISLAMICHE

Inoltre, gli induisti di Lyari denunciano che da parte dei vertici di Saylani (l’organizzazione coinvolta nell’episodio) l’unico provvedimento è stato chiedere agli induisti di pubblicare una nota ufficiale che scaricasse la responsabilità sui singoli volontari, senza però fare nulla per cambiare la situazione. Questo rischia tra l’altro di aumentare la tensione con l’India, dove episodi del genere sono stati riportati con grande evidenza dai media.

Verso i cristiani, la discriminazione sembra invece essere forse più ‘sottile’, ma altrettanto grave. Si segnalano infatti diversi episodi nei quali a persone della minoranza cristiana è stato chiesto di recitare i kalima, una dichiarazione di fede islamica, per ricevere gli aiuti. Una sorta di tentativo di conversione forzata, che avviene in particolare quando le donazioni arrivano da enti di ispirazione religiosa: essendo dunque frutto della carità di fedeli musulmani, essi spetterebbero solo agli islamici.

Da Sandha, nel Punjab, arriva un episodio significativo sia nel male sia nel bene: prima sono stati rifiutati aiuti a ben 100 famiglie cristiane, in seguito però un uomo benestante musulmano si è messo in prima persona a distribuire aiuti a chi era stato discriminato.

CORONAVIRUS PAKISTAN: DISCRIMINATI ANCHE GLI SCIITI

Il problema di fondo degli aiuti contro il Coronavirus in Pakistan è dunque che sono troppo affidati alla buona (o cattiva) volontà dei singoli operatori, con le autorità che spesso nulla fanno contro i casi di discriminazione, sovente incitata dai leader religiosi islamici come Sheikh Abdul Haleem Hamid, che istruisce esplicitamente i volontari a consegnare cibo solamente ai musulmani. Altre situazioni non rientrano neppure nelle statistiche perché si segnalano casi nei quali i non musulmani sarebbero stati “invitati” a non chiedere nemmeno gli aiuti, come è successo nei dintorni di Lahore, dove nei pressi delle zone di distribuzione sono apparsi cartelli che invitavano i “miscredenti” a stare alla larga.

Come detto, tra le minoranze discriminate ci sono anche (e forse addirittura soprattutto) i musulmani sciiti: a Quetta è stata ad esempio imposta una durissima quarantena ai quartieri a maggioranza sciita, con la motivazione che il Coronavirus è particolarmente diffuso nello sciita Iran.

In questo caso dunque sono direttamente coinvolte anche le autorità locali, che hanno imposto l’isolamento in base al credo religioso – anche in diverse istituzioni pubbliche d’altronde sarebbe stato chiesto in modo informale agli sciiti di non recarsi al lavoro temendo la diffusione del contagio. La situazione delle minoranze religiose in Pakistan resta dunque molto grave e il Coronavirus è il pretesto “perfetto” per nuove discriminazioni.