È verosimile che il virus si attenuti nelle prossime settimane. Attualmente, la diffusione è simile a quella dell’influenza”. I verbali della task force voluta dal ministero della Salute per affrontare l’emergenza Covid permettono di ricostruire quei giorni difficili, quelli in cui il coronavirus ci ha travolti. Da questi emerge come l’epidemia sia stata sottovalutata nella fase iniziale. Per Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive (INMI) Lazzaro Spallanzani di Roma, non c’era motivo in quel momento di pensare che fosse qualcosa di diverso dall’influenza. Le parole sono sue e sono presenti nel verbale del 3 febbraio, in cui c’è la conferma dell’Istituto superiore di sanità per bocca del presidente Silvio Brusaferro. “Conferma che i dati sono sovrapponibili a quelli dell’influenza: dal 1° gennaio in Italia abbiamo 3 milioni e mezzo di abitanti a letto con l’influenza e diversi sono stati i morti, ma questo dato non fa notizia”. Pur riconoscendo che i sintomi sono simili, spiegava che l’influenza aveva un tasso di riproduzione “più elevato rispetto al coronavirus”, d’altra parte “il quadro radiologico in quest’ultimo è molto più importante”. Quindi, si chiariva che “sulla base delle esperienze pregresse ci sarà un picco e poi un rallentamento”.



“CONTAGIO? SOLO DA CHI HA SINTOMI…”

Dal verbale del 6 febbraio invece si evince che per l’Istituto superiore di sanità la trasmissione del coronavirus non c’è prima della comparsa dei sintomi. Quindi, ritenevano che chi non avesse sintomi non potesse trasmettere il virus. “Il contagio può avvenire al più contemporaneamente al verificarsi della sintomatologia stessa”. Ippolito dello Spallanzani invece il 10 febbraio osservava che “la probabilità di trasmissione dipende dalla carica virale dell’individuo”, ammettendo però che “ogni alta considerazione è prematura a causa della scarsità di informazioni sulla storia naturale della malattia e sulle caratteristiche della risposta immunitaria all’infezione”. È evidente, dunque, quanto fosse grande la confusione anche tra gli esperti, in virtù anche delle poche informazioni a disposizione. Del resto, erano inizialmente convinti che il coronavirus non fosse già in Italia. E il segretario regionale, illustrando con delle slides i dati del report Oms, sottolineava che l’auspicio era che per il 28 marzo “si possa addivenire ad una soluzione positiva della vicenda coronavirus”. Quel giorno, invece, eravamo in pieno lockdown.

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