Il coronavirus è mutato ed è più contagioso, forse non più aggressivo. È quanto emerso da uno studio condotto a Houston e pubblicato su MedrXiv. La mutazione non è nuova, infatti in Italia è stata osservata a febbraio. Questa nuova versione, chiamata D614G, è ormai diffusa al 99,9% e, secondo una stima di alcuni ricercatori, la capacità infettiva è più alta del 20%. Ma non si notano differenze nei sintomi tra le persone infettate da altri ceppi di Sars-CoV-2, quindi non sembra più aggressivo. Ma è pur vero che l’abbassamento della letalità può essere attribuito anche a terapie, mascherine e regole anti-contagio. “La tendenza di tutti i virus è adattarsi al suo ospite, fare la pace e non la guerra”, ha dichiarato a Repubblica Massimo Ciccozzi, responsabile del laboratorio di statistica medica ed epidemiologia del Campus Biomedico a Roma. La diffusione di questa nuova versione potrebbe essere l’indizio di una naturale evoluzione del coronavirus. Per quanto riguarda i vaccini, non c’è da preoccuparsi riguardo la variazione: “La mutazione non permette al coronavirus di sfuggire al loro effetto. Quel che D614G sicuramente fa è rendere il coronavirus più contagioso”. Un altro studio rivela che con più copertura di vaccini influenza ci sarebbero stati meno morti.



CORONAVIRUS, CON PIÙ VACCINI INFLUENZA MENO MORTI

Uno studio del centro cardiologico Monzino, invece, si è concentrato sul rapporto tra il coronavirus e la vaccinazione contro l’influenza, scoprendo che il numero dei decessi è inferiore dove ci si è vaccinati di più contro l’influenza. Dati alla mano, i ricercatori ritengono che con un aumento dell’1% delle coperture vaccinali si sarebbero evitati quasi duemila decessi per Covid-19 (1.989 per la precisione). “La prevalenza delle infezioni da Sars-Cov-2, gli accessi in ospedale con sintomi riconducibili a Covid, gli accessi in terapia intensiva e i decessi, sono tutti risultati maggiori nelle regioni in cui i tassi di vaccinazione erano stati più bassi”, ha dichiarato a Repubblica Mauro Amato, ricercatore del centro cardiologico Monzino e primo autore dello studio. Questi risultati trovano conferme anche nei risultati di ricerche condotte in Brasile.



Questo comunque spiegherebbe perché tra i bambini l’incidenza è minore e le sintomatologie sono più blande. “In età pediatrica si è sottoposti più spesso a vaccinazioni di qualche tipo: è noto infatti che i vaccini possono determinare un’immunità crociata, o meglio addestrata, anche nei confronti di altre patologie infettive”, ha spiegato Damiano Baldassare, coordinatore dello studio e responsabile dell’Unità per lo studio della morfologia e della funzione arteriosa del Monzino e professore del dipartimento di Biotecnologia medica e Medicina traslazionale dell’università di Milano. I vaccini, quindi, non proteggono solo dal virus verso cui sono indirizzati, ma potenziano le reazioni immunitarie in modo generalizzato. Questo potrebbe tornare utile in chiave coronavirus.

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