232 contagi in Italia, 7 deceduti a causa del coronavirus. È il bilancio dell’epidemia mentre Silvia Angeletti, medico e docente di patologia clinica nell’Università Campus Biomedico di Roma, parlando con il Sussidiario, difende la scelta di eseguire il test a chi mostra sintomi, invece di farlo a campione su larga scala in individui asintomatici.
Le disposizioni ministeriali mettono al sicuro dai tamponi falsi negativi: “Se il test risultasse negativo ma il sospetto di infezione fosse elevato, il tampone va ripetuto. Queste disposizioni vengono date proprio per ridurre al massimo la possibilità di falsi negativi. I test in uso per la rilevazione del virus sono test molecolari attendibili e specifici per il Covid-2019 e quindi non dovrebbero produrre falsi positivi” spiega Angeletti.
Professoressa, che cosa significa la positività al tampone?
L’esecuzione del tampone è una metodologia diagnostica molto importante per poter confermare un sospetto clinico di infezione. La sua positività indica la presenza di infezione da parte del virus.
Che margini ci sono che il tampone dia falsi positivi e falsi negativi?
Secondo le attuali disposizioni ministeriali basate sulle evidenze scientifiche, la diagnosi di laboratorio del coronavirus, dove possibile, andrebbe effettuata su campioni biologici prelevati dalle basse vie respiratorie come espettorato, aspirato endotracheale o lavaggio bronco-alveolare. Nel caso in cui i pazienti non presentino segni di malattia delle basse vie respiratorie, o se la raccolta non sia possibile seppur clinicamente indicata, è raccomandata la raccolta di campioni prelevati dalle alte vie respiratorie come tamponi nasofaringei e orofaringei combinati. Se il test risultasse negativo ma il sospetto di infezione fosse elevato, il tampone va ripetuto. Queste disposizioni vengono date proprio per ridurre al massimo la possibilità di falsi negativi. I test in uso per la rilevazione del virus sono test molecolari attendibili e specifici per il Covid-2019 e quindi non dovrebbero produrre falsi positivi.
Oggi si fa il test a chi mostra sintomi. È una scelta giusta o sbagliata?
Credo che la scelta di eseguire il test a chi mostri sintomi sia in linea con le evidenze scientifiche disponibili e quindi la ritengo giusta.
Ciò significa che potrebbero non risultare pazienti perché non si è fatto il tampone. Non si potrebbero fare esami a campione su larga scala, là dove il Covid-19 sembra non essere arrivato, per esempio nel Sud Italia?
Sicuramente il riscontro di positività si può avere solo se si effettua la ricerca del virus. Se nel Sud Italia non si sono riscontrati ancora casi fino ad oggi, è possibile che questo sia legato alla situazione epidemiologica. Lo abbiamo visto anche in Cina: il virus si è concentrato soprattutto con il maggior numero di casi nella regione di Hubei. Non si può certo escludere che il Sud Italia possa registrare casi in futuro, oggi si può dire solamente che i casi si sono maggiormente concentrati al Nord e al Centro Italia.
Qual è il suo scenario?
Fare delle previsioni non è facile. Dipende da molti fattori se un’infezione virale possa propagarsi con le caratteristiche di un’epidemia. Sicuramente sapendo che il Covid-19 è un virus contagioso, mettere in atto tutte le possibili strategie preventive che limitino la diffusione rappresenta la modalità più opportuna per affrontare il problema, come si sta facendo in questo momento nel nostro Paese.
Cosa emerge dai dati in suo possesso?
Noi qui al campus Biomedico stiamo studiando il Covid-19 sin dalla sua comparsa in Cina. I nostri dati, riportati in diverse pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali del settore, ci hanno permesso di dire che il virus è passato dal pipistrello all’uomo perché è avvenuta una mutazione in una proteina che permette al virus di entrare nella cellula ospite. Avvenuta questa mutazione il virus ha sviluppato la capacità di fare un salto di specie e provocare infezione anche nell’uomo. Da lì è cominciata la diffusione inter-umana a partire da Wuhan. Abbiamo anche avuto modo di capire che il virus rispetto al virus della Sars ha subito mutazioni di vario tipo, alcune di esse lo stabilizzano rendendolo più contagioso e quindi più abile nel provocare infezione ma altre lo destabilizzano rendendolo meno letale della Sars, come si può evincere dai dati epidemiologici.
Secondo lei esiste una coerenza proporzionale tra i dati cinesi e quelli italiani?
Credo che per quanto riguarda il numero di casi non si possa fare un paragone con la Cina, stiamo parlando di due Paesi con una differente densità di popolazione.
Quali sono ancora oggi gli aspetti più oscuri del Covid-19?
Come tutti i patogeni emergenti, il virus presenta ancora per tutti noi aspetti non definiti che solo con la ricerca scientifica rigorosa e puntuale potranno essere chiariti. La stima del tempo di incubazione è incerta, i dati epidemiologici disponibili dicono tra i 5 e i 14 giorni, ma sono stati riportati alcuni casi in cui questo tempo è risultato più lungo. Anche il cosiddetto R0, ossia la capacità che ha un individuo malato di contagiare altri individui, è stato calcolato variabile in un range tra 2-3, ma non è un dato del tutto certo. Infine molto ancora si discute sulla capacità di contagio da parte dei soggetti asintomatici.
Come si può spiegare la veloce diffusione del coronavirus in Italia? Può essere il fatto che i primi focolai si sono registrati negli ospedali?
Si può spiegare perché in Italia è stato messo in atto un sistema di sorveglianza capillare che cercando i casi li ha trovati, tenendo conto che i sintomi, essendo di tipo respiratorio, potrebbero essere stati scambiati per influenza o altre infezioni respiratorie se non avessimo fatto test mirati sul coronavirus.
Secondo lei, è possibile che il coronavirus sia stato creato in laboratorio o è un’ipotesi da scartare?
Assolutamente scarterei questa possibilità. I nostri studi hanno dimostrato inequivocabilmente che il virus deriva dal virus del pipistrello che subendo una mutazione in una proteina fondamentale è riuscito a fare il salto di specie e passare all’uomo.
(Federico Ferraù)