Se fino a qualche tempo fa epidemiologi e altri esperti del settore auspicavano che l’emergenza Coronavirus potesse quantomeno allentarsi con l’arrivo della bella stagione o dei primi caldi, pare che questa ipotesi non vada nemmeno presa in considerazioni. È questa la risultanza di uno dei tre studi pubblicati di recente dall’European Respiratory Journal, di cui due realizzati in Cina, e in cui si forniscono nuove evidenze scientifiche sulla pandemia da Covid-19. Il primo di questi, come detto, ha spiegato che l’aumento delle temperature non influenzerà in positivo il trend dei contagi come notato dai dati clinici dei pazienti di 224 città del Paese asiatico. Infatti, analizzando i tassi di infezione si è visto come il virus della SARS-CoV-2 non sia affatto condizionato dal caldo, dall’allungarsi delle giornate o dalla maggiore o minore quantità di raggi ultravioletti a cui è sottoposto. La ricerca portata avanti dall’Unversità di Fudan (a Shanghai) ha inoltre spiegato che non vi sarebbero correlazioni apparenti tra il tasso di umidità relativa, le temperature e la sopravvivenza del virus.



CORONAVIRUS NON SCOMPARIRA’ CON L’ESTATE: UNO STUDIO CINESE SPIEGA PERCHE’

Passando invece agli altri due studi pubblicati dall’European Respiratory Journal a venire indagati sono da una parte il modo con cui è stata gestita l’emergenza sanitaria nella provincia di Wuhan e dall’altro i fattori di rischio per i fumatori e per i pazienti con BPCO (Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva): la prima ricerca ha dimostrato come l’epidemia abbia effetti più devastanti laddove la regione è impreparata dal punto di vista sanitario e non sappia anzi governare l’emergenza: basti pensare che nella provincia di Hubei, vero epicentro della pandemia, il tasso di casi gravi è stato del 19,2% contro l’11% del resto del Paese mentre il tasso di mortalità del 3,48% a fronte dello 0,22% registrato altrove (anche se si tratta di dati raccolti solo fino allo scorso 31 gennaio). Infine il terzo studio citato, e stavolta si parla di una ricerca che porta la firma di alcuni studiosi statunitensi della British Columbia University, ha mostrato come l’enzima Ace-2 sia di fatti la “porta” che il Coronavirus usi per entrare nel tessuto cellulare che riveste i polmoni: di conseguenza i fumatori e le persone che soffrono di BPCO risulterebbero più esposte dato che presentano livelli più elevati di questo enzima, diventando maggiormente vulnerabili.

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