Se ormai da qualche giorno l’argomento coronavirus si prende le prime 13 pagine del Corriere della Sera, le prime 5 de La Stampa ed ogni apertura di Tg o testata online, nonché milioni di discussioni tra individui, superando anche quelle sul calcio (!) vuol dire che l’argomento fa presa. Fa presa perché, oltre all’ informazioni sull’andamento dell’epidemia, non ancora pandemia, sulle misure prese dalle varie autorità nazionali, internazionali o locali, sui bollettini medici a vario livello, c’è come un senso d’ansia o addirittura di paura che aleggia. Qualcosa che sfugge ma che interessa.



I fatti prima di tutto. Per capirli occorre molta osservazione e poco ragionamento. Cosa tutt’altro che facile in tempi di comunicazioni social allo stato brado. Sembra un controsenso, ma questa, come osservato da altri commentatori, è la prima epidemia in epoca di social digitali e purtroppo non significa solo maggior informazione, estesamente e facilmente fruibile, ma significa anche diffusione di paure, di fake news, di deviazioni volutamente costruite. Le bufale scorrazzano nelle praterie digitali diffondendo in rete notizie palesemente ed ingenuamente catastrofiche o complottistiche. La diffusione globale di ogni tipo di informazione e la sua facile fruibilità non stanno portando più consapevolezza, ma spesso più ignoranza e confusione. La torre di Babele è sempre in agguato in ogni fase della storia umana e personale. Per difendersi non serve diffidenza, chiusura o cinismo, ma un’intelligenza critica, che cerchi evidenze, confronti seri o contraddizioni, che sia legata alla realtà, che si informi.



Certamente la comparsa sulla scena planetaria di questo nuovo virus ha diversi aspetti controversi che non facilitano il compito di chi vuole comprendere razionalmente la situazione. Il governo cinese ha nascosto o ritardato la notizia del suo esordio per oltre 17 giorni secondo attendibili ricostruzioni, adducendo le solite ragioni di turbamento dell’ordine pubblico, obiettivo primario e sacro per un regime spasmodicamente teso alla leadership economica globale.

Non solo, le misure che la Cina sta prendendo appaiono in assoluta contraddizione con i dati medico-clinici ufficialmente forniti: perché blindare in quarantena una metropoli di 11 milioni di abitanti, bloccare totalmente i trasporti, costruire a tempi di record mondiale come solo loro sanno fare due ospedali da mille (o diecimila) letti per i futuri pazienti vittime del virus? Per cosa? Per un’influenza che avrebbe una mortalità del 2%, più o meno come le influenze stagionali (per il coronavirus ufficialmente ad oggi 213 morti e 10mila infettati, numeri che si evolvono di ora in ora e che sono già vecchi appena citati, mentre per alcune Ong gli infettati sarebbero addirittura 75mila), percentuale molto minore di quella della Sars che aveva il 10% di mortalità e che si estinse rapidamente? D’altra parte l’influenza “spagnola” del 1917 dal riferito tasso di mortalità del 2% uccise più individui dei 16 milioni di morti per cause belliche della prima guerra mondiale, data la sua estensione globale: anche con tassi di mortalità bassa il numero dei morti sale in proporzione, raggiungendo dimensioni catastrofiche. Aggiungiamo a tutto questo la diffidenza verso le cifre ufficiali del regime cinese, noto per le sue verità strumentalmente manipolate. Insomma ai numeri ufficiali credono in pochi.



Il caso è complesso. Anche la via di trasmissione, prima ritenuta possibile solo da persona già sintomatica, è ora dimostrata anche nel periodo di incubazione (in media cinque giorni), in assenza di sintomi (vedi New England Journal of Medicine). Partendo da dove: dal mercato del pesce di Whuan che ricorda tanto la Fiera dell’est dove si acquistano anche pipistrelli, topi e serpenti?

Allora tutto questo ed il fatto che l’Oms dopo qualche prudenza iniziale si sia esposta dichiarando l’emergenza di sanità pubblica di rilevanza globale e che numerosi paesi occidentali ed asiatici abbiano bloccati i voli con la Cina per almeno tre mesi, che la Russia abbia chiuso la sua immensa frontiera con la Cina, che l’invincibile locomotiva gialla e la sua industria rallenti vistosamente (fabbriche chiuse o delocalizzate altrove! solo per un’influenza?) fa pensare che ci sia in gioco qualcosa di più. O semplicemente qualcosa la cui evoluzione nessuno può prevedere. In tempi di guerre commerciali anche un virus improvvisamente comparso può far buon gioco a qualche potenza avversaria.

Tutto questo arriva direttamente a noi. Un’esperienza personale: nel 2000 ero in Uganda ed in quei giorni scoppiava l’epidemia di Ebola (per inciso: mortalità tra il 50 ed il 70%!) Ricordo con nitidezza il senso di paura vera, di situazione incontrollabile che mi prese per qualche momento appena mi diedero la notizia. Ero decisamente indifeso, speravo solo che la distanza dalla zona del focolaio mi proteggesse. Ovviamente a me non successe nulla, decine di persone purtroppo morirono ed il focolaio in breve si estinse. Un’esperienza di vulnerabilità raramente sperimentabile ai nostri tempi, tempi in cui sembra scontato il controllo assoluto su ogni aspetto della nostra vita, tempi in cui programmiamo, decidiamo, definiamo. Tempi in cui un contrattempo ci destabilizza. Ma davanti all’ epidemia del 2019-n-CoV o coronavirus la scelta non può essere solo tra il far finta di niente (poco razionale) o il panico (mettere l’intera vita dietro una grande mascherina, diffidare di tutto e tutti, magari vietando l’ingresso ai sospetti). C’è un’ulteriore ipotesi da verificare: prendere coscienza che la vita non è nostra, che non ne siamo i padroni assoluti, che ogni istante ci chiede risposta. Insomma l’atteggiamento adeguato sembra quello di una grande umiltà davanti alla grandezza del creato, anche nei suoi aspetti più controversi.

Ultima ora: il fatto che l’Istituto Spallanzani di Roma abbia tolto la mascherina al virus e l’abbia quindi isolato è un buon passo verso terapia e vaccino, anche se, per restare in tema cinese, quella che si prospetta è veramente una lunga marcia.

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