OEGSTGEEST (Olanda) – Ha fatto notizia nei giorni scorsi il no deciso del premier olandese Mark Rutte e del suo ministro delle finanze Wopke Hoekstra alla possibilità di emettere bond “europei” (i cosiddetti coronabond) per finanziare le iniziative di emergenza dei paesi maggiormente colpiti dal coronavirus che già si trovano in condizioni finanziarie preoccupanti. La proverbiale “schiettezza” del carattere olandese sicuramente non è stata d’aiuto e nel frattempo il ministro Hoekstra si è scusato, ammettendo di aver sbagliato i toni e mancato di empatia. Ma come sta affrontando l’emergenza Covid-19 il Regno dei Paesi Bassi? 



Una premessa è necessaria: il premier Mark Rutte, in carica già da dieci anni in cui ha guidato tre diverse coalizioni, gode del gradimento della maggioranza degli olandesi; secondo i mainstream media in queste ultime settimane il gradimento sarebbe addirittura in crescita. Il carisma di Rutte, grazie al quale il premier ha anche rigenerato negli anni il proprio partito, il VVD (Volkspartij voor Vrijheid en Democratie, Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia) riportandolo ai vertici fino a diventare il primo premier liberale della storia olandese, contribuisce senz’altro ad alimentare il sostegno da parte della popolazione. Questo si riflette evidentemente nel modo in cui gli olandesi hanno accolto con favore le misure scelte dal governo per far fronte all’emergenza coronavirus. 



I Paesi Bassi non hanno optato per il lockdown temporaneo e hanno sposato quella che inizialmente era la “linea Boris Johnson”, puntando decisamente sull’immunità di gregge come strumento principale per la lotta al Covid-19 (oltre alle disposizioni di igiene e distanziamento sociale, si chiede alle persone di evitare assembramenti e fare la spesa solo in caso di necessità; si chiudono luoghi pubblici come ristoranti e bar ma i negozi rimangono aperti; non esiste alcun divieto ad uscire di casa a patto che si rispettino le disposizioni precedenti). Davanti a questa scelta, è legittimo pensare che almeno per una parte della popolazione quel sostegno al governo e alle sue iniziative sia più che altro di facciata.



Ancora il 16 marzo scorso Rutte in un messaggio televisivo alla nazione usava queste parole: “Gran parte della popolazione olandese verrà infettata dal virus. […] Maggiore sarà la quantità di persone rese immuni attraverso il contagio, e minore sarà la probabilità che il virus vada ad infettare anziani deboli e altre persone con problemi di salute”. L’obiettivo dichiarato quindi è la ricerca di una sorta di “protezione” per i più deboli, lasciando però circolare il virus, cercando di limitarne la diffusione senza mandare tutta la popolazione in quarantena. Non risulta, ad oggi, che questa strategia sia cambiata.

I comunicati che il RIVM (Rijksinstituut voor Volksgezondheid en Milieu, Istituto Nazionale per la Salute Pubblica e l’Ambiente) emette ogni giorno intorno alle 14 ripetono ossessivamente il messaggio secondo cui “le misure messe in atto dal governo consentono di tenere la curva dei contagi più bassa di quanto sarebbe se le misure non fossero attive”. Questo, oltre a essere di un’ovvietà sconcertante, finisce con il censurare il dato realmente preoccupante, di cui si parla con troppa sufficienza nei comunicati ufficiali: il numero dei decessi. Fino a quando l’età dei morti poteva essere contenuta in una fascia compresa tra gli 80 e i 94 anni, si è tenuto questo dato in evidenza, quasi a minimizzare la pericolosità del virus sulle altre fasce di età. Quando questo non è più stato possibile, il RIVM ha cambiato la formulazione, dicendo che la maggior parte dei decessi si verificava in persone di età avanzata in cui erano presenti altre patologie. Ora si parla fondamentalmente della curva del contagio, e si minimizza sui morti: eppure, numeri alla mano (al 2 aprile sono 14.697 i positivi totali e 1.339 i morti accertati, per un tasso di mortalità di circa il 9%, e 250 guarigioni confermate), il dato olandese in questo senso dovrebbe destare più di una preoccupazione.

Se da una parte è comprensibile il desiderio di evitare che si scateni il panico, dall’altra credo sia necessario migliorare comunque la comunicazione e affrontare il problema della mortalità e del basso tasso di guarigioni con trasparenza e decisione.

Guardando indietro alle primissime decisioni prese all’inizio della crisi, c’è stato un momento in cui la popolarità di Rutte ha vacillato: quando a fianco della raccomandazione per tutti di “lavorare da casa se possibile” il governo prese la decisione di non chiudere le scuole, sostenendo che non fossero veicolo di contagio e che chiuderle avrebbe creato problemi a chi non poteva lavorare da casa. Molti genitori sono insorti, anche perché si iniziavano a diffondere notizie su alunni, insegnanti o genitori che erano risultati positivi. I due antieuropeisti ed estremisti di destra Thierry Baudet e Geert Wilders, fiutando il sangue, si sono lanciati all’attacco in due interventi davanti al parlamento olandese. Rutte ha avuto però il buonsenso di riconsiderare la questione chiudendo le scuole il 16 marzo. 

Le disposizioni, che dovevano durare fino al 6 aprile sono già state estese al 28. Nel corso della conferenza stampa che annunciava l’estensione delle disposizioni il premier ha anche voluto aggiungere di “non fare programmi per la Meivakantie (il periodo di due settimane in cui le scuole olandesi chiudono, solitamente ai primi di maggio)” per evitare di illudere la gente che dal 28 in poi tutto sarebbe tornato normale. È scontato affermare che l’andamento del contagio nelle prossime quattro settimane dirà molto sull’efficacia della strategia olandese nella lotta al Covid-19.

Ma saranno settimane importanti anche per capire quanto gli olandesi facciano sul serio nel voler sostenere quella parte di Europa in cui il coronavirus sta causando molti più problemi. Dopo la gaffe cui abbiamo accennato in apertura, il ministro Hoekstra si è scusato per la mancanza di empatia e le ultime notizie parlano di una disponibilità olandese a donare fino a 1 miliardo di euro per la costituzione di un fondo di solidarietà europeo. Secondo Hoekstra si starebbe lavorando alla costituzione di questo fondo ad adesione libera cui gli Stati più in difficoltà potrebbero accedere senza dover poi restituire l’importo ricevuto.

Pur parlando di “entusiasmo” manifestato da altri partner europei al momento non sono disponibili altre informazioni: soprattutto, non è chiaro a quali condizioni sia vincolato l’accesso ai fondi. Il premier Rutte avrebbe già richiesto di poter avere una videoconferenza con i colleghi di Italia e Spagna per spiegare le motivazioni del no al coronabond e del perché invece l’Olanda sia pronta a impegnarsi per il fondo di solidarietà introdotto da Hoekstra. Gli equilibri, in questo senso, sono estremamente delicati: non è nemmeno più una questione di essere europeisti o meno. È questione di essere umani: no alle manovre politiche, no all’ideologia e no al populismo spicciolo. L’unione (europea o meno) fa la forza.

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