«In 42 anni di professione non ho mai visto niente di simile»: così spiega al Corriere della Sera l’infettivologo Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano, in merito all’emergenza Coronavirus “esplosa” in Italia e nel mondo da due mesi a questa parte. Il doppio focolaio in Lombardia e Veneto ha evidentemente reso l’allarme globale qualcosa di molto vicino alle nostre vite ed è proprio l’Istituto tra i più importanti e prestigiosi a livello mondiale come il Sacco a lanciare il vero allarme attuale sul fronte Covid-19: l’ospedalizzazione e la gestione dei ricoveri, il vero problema di cui danno “megafono” gli esperti virologi e infettivologi che negli scorsi giorni sono riusciti ad isolare il ceppo italiano del Sars-Cov2. «Siamo in piena emergenza. Sì, sono preoccupato. È accaduto quello che molti di noi temevano e speravano non accadesse. Il virus ha dimostrato di aver eluso i criteri di sorveglianza. L’ epidemia ha a tutti gli effetti conquistato una parte d’ Italia. Ci troviamo a dover gestire una grande quantità di malati con quadri clinici importanti». Lo dice senza ombre il professor Galli non nascondendo la gravità della situazione non tanto, lo ripetiamo, per il contagio in quanto tale ma per la situazione delle rianimazioni: secondo i dati forniti da GIMBE (elaborati sui casi riportati dalla Coronavirus fino alla giornata del 29 febbraio, ndr) dei 1128 contagiati in Italia il 9,3% è ricoverato in terapia intensiva (105) e questo rappresenta un fortissimo problema.



L’ALLARME DELL’OSPEDALE SACCO DI MILANO

Come evidenzia ancora Massimo Galli «Sta succedendo qualcosa di grave, non soltanto da noi ma anche in Germania e Francia, che potrebbero ritrovarsi presto nelle nostre stesse condizioni e non glielo auguro. Stiamo trattando una marea montante di pazienti impegnativi». Secondo il primario, come già affermato giorni fa, i quadri clinici consigliano una versione dei fatti assai diversa dal “paziente 1” trovato a Lodi: «I quadri clinici gravi non fanno pensare che l’ infezione sia recente. È verosimile che i ricoverati abbiamo alle spalle dalle due alle quattro settimane di tempo intercorso dal momento in cui hanno preso il virus allo sviluppo di sintomi molto seri, dalla semplice necessità di aiutarli con l’ ossigeno fino a doverli assistere completamente nella respirazione». Ma quindi l’invito alla “calma” è esagerato e bisogna invece preoccuparsi di più? Galli risponde con sincerità al CorSera: «La situazione è francamente emergenziale dal punto di vista dell’organizzazione sanitaria. È l’ equivalente dello tsunami per numero di pazienti con patologie importanti ricoverati tutti insieme. Le descrivo la giornata di venerdì, prima che arrivasse la nuova ondata di casi». Facendo un esempio numerico che rende bene l’idea, in Lombardia erano 85 i posti letto occupati da malati intubati «con diagnosi di Covid-19, una fetta molto importante di quelli disponibili», spiega ancora Galli sottolineando come questo mette a rischio anche gli operatori. Quello che alcuni “sussurrano” in questi giorni, il prof. Galli lo dice apertamente: il virus è entrato in Italia ben prima della chiusura dei voli dalla Cina «circolava già prima della fine di gennaio anche a giudicare dall’impennata di questi ultimi giorni. Sono tutti contagi vecchi per la maggior parte. Risalgono agli inizi di febbraio, qualcuno anche a prima». Previsione per il prossimo futuro? Galli non fa l’indovino né il profeta, eppure la sua versione è importante ed esperta: «La maggior parte dei malati guariscono ma ce ne sono tanti, troppi, da assistere. Le aree metropolitane finora sono rimaste fuori dalla zona rossa e speriamo restino così».

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